- Da Nessuno Tocchi Caino newsletter <noreply@nessunotocchicaino.it> del 12/07/2025 -
NESSUN RISCATTO PER LE NOSTRE CARCERI, SENZA UNA RIVOLUZIONE
ARCHITETTONICA COPERNICANA E COSTITUZIONALE DELLA PENA
Cesare Burdese
Recentemente, ho visitato insieme a Nessuno tocchi Caino e alle Camere penali liguri le carceri di Genova-Pontedecimo, Sanremo e Genova-Marassi. Al di là di compiere un’opera di misericordia corporale laica, entro in carcere per constatare le condizioni delle strutture detentive e della vita al loro interno, da molti decenni oggetto del mio impegno di architetto. Quello che ogni volta mi appare è il risultato plastico di azioni che hanno nel tempo contribuito a configurare uno scenario materiale detentivo contraddittorio e negativo, fuori dal dettato costituzionale. Su tutto prevale la disumanità delle soluzioni architettoniche per rispondere al bisogno legittimo di contenere in sicurezza esseri umani che, privati della loro libertà, per un periodo di tempo limitato o per sempre, scontano una pena disumana. In nessun caso i valori fondanti dell’architettura appartengono ai nostri edifici carcerari, frutto di una progettistica insensibile ai temi della qualità e al benessere ambientale. A questo si assomma un degrado edilizio generalizzato per la cronica mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
I nostri edifici carcerari rimandano a una concezione afflittiva della pena che
umilia e penalizza quanti il carcere a vario titolo lo frequentano. Il tutto è
condito da un tasso di sovraffollamento che limita il pieno esercizio delle
attività trattamentali, già di per sé penalizzato dalla carenza di spazi. Il
risultato finale sono condizioni di vita e di lavoro al limite dell’inciviltà e
lontane dall’esecuzione penale della riforma e delle raccomandazioni di
organismi internazionali o nazionali.
Nelle tre carceri visitate, chi più chi meno, l’ambiente materiale è
sconfortante: per i muri scrostati e malsani; per i letti ammassati nelle
celle; per le finestre che oltre la fila di sbarre sono schermate da una fitta
rete metallica e a volte (come a Pontedecimo) anche sigillate da pannelli di
plexiglas che impediscono la vista; per gli spazi detentivi all’aperto carenti
e per i cortili dell’aria completamente privi verde; per le docce che
funzionano a intermittenza e per l’acqua potabile che scarseggia; per la
mancanza negli ambienti di vita e di lavoro di luce naturale, di ventilazione e
di accorgimenti per gestire il rumore.
Ulteriori significative criticità si rilevano per la localizzazione degli
Istituti di Sanremo e di Genova Pontedecimo. Il primo è collocato in una valle
impervia, tra un cimitero e una discarica, distante parecchi chilometri dal
centro abitato e malissimo servito dai mezzi pubblici. Il che costringe i
parenti dei detenuti in visita, se privi di auto propria, all’uso del taxi con
costi significativi. Il secondo si colloca in un’area marginale della città,
con una strada di accesso fortemente in salita, che causa disagio e difficoltà
ai visitatori, in particolare se anziani o disabili. Tali circostanze riducono
il poco margine di relazione esistente con il contesto sociale di appartenenza,
limitando, se non addirittura annullando, le opportunità per un percorso vero
di risocializzazione delle persone detenute. Nel carcere ottocentesco di Genova
Marassi, un istituto inserito in pieno contesto urbano, il problema endemico
del sovraffollamento vanifica i pur buoni rapporti dell Istituto con l’esterno
testimoniati dalle molte attività trattamentali realizzate con la
collaborazione della società civile, ma che potrebbero essere ancora maggiori
se non esistesse una ridotta disponibilità di spazi. Nota dolente è
l’impossibilità ovunque in Liguria, ancora per mancanza di spazio, di dare
corso alla ormai famigerata sentenza della Corte Costituzionale in tema di
affettività in carcere.
Realisticamente, rimedi di natura architettonica non sono possibili visti i
limiti culturali, amministrativi ed economici da sempre presenti. La
connotazione architettonica del nostro carcere, da un lato, lo stato di
conservazione, dall’altro, condanneranno a lungo l'esecuzione penale a essere
di fatto incostituzionale e indegna. La questione architettonica non è
risolvibile se non con l’avvento improbabile di una rivoluzione copernicana
nella nostra progettistica carceraria; lo stato dei fabbricati potrebbe essere
migliorato destinando maggiori risorse per la manutenzione e ristrutturazione.
In questi torridi giorni estivi, si susseguono da più parti gli appelli alle
più alte cariche dello Stato per la situazione delle carceri. Il Presidente
della Repubblica e il Presidente del Senato hanno riconosciuto le drammatiche
condizioni di detenzione. Il rischio dell’Italia di subire una ulteriore
condanna da parte della Corte europea dei diritti umani è elevato. Per questo,
Rita Bernardini ha ripreso lo sciopero della fame di dialogo rivolto
innanzitutto al Parlamento perché prima di andare in ferie faccia il suo
dovere: affrontare la questione del sovraffollamento carcerario che è la causa
primaria delle condizioni inumane e degradanti di vita dei detenuti e di lavoro
dei detenenti.
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