giovedì 28 settembre 2017

TESTIMONIANZA

-40 anni di professione forense-


LEGALITÀ  IN  CONSIGLIO  COMUNALE

Richiamo alla mente un’esperienza vissuta nell’anno 1978:  Nel 1975 ero stato eletto Consigliere comunale di minoranza a Maratea e, giovane avvocato, mi ritrovai poco dopo ad affrontare un caso di decadenza dal Consiglio comunale di ben tre Assessori, tra i quali il vicesindaco, che erano stati ciascuno destinatario di Ordinanza di demolizione e rimessa in pristino di opere abusive da essi non eseguita con conseguente procedimento penale a carico.  Allora bastava questo per versare in situazione di incompatibilità con la carica ricoperta ed a me, con il consenso del piccolo gruppo di appartenenza, sembrò opportuno richiederne la decadenza per lite pendente dalla carica di Consigliere comunale, come previsto, con voto in Consiglio. Il caso, con grande imbarazzo del Sindaco, della Giunta e del Gruppo di maggioranza, fu posto all’ordine del giorno ed il 28 aprile 1978, dopo lunga discussione, la massima assemblea cittadina si espresse contro la decadenza per lite pendente con il Comune (presenti 18 Consiglieri, votanti 17, astenuti 1, contrari 14, favorevoli 2, schede bianche 1).

L’esito della votazione era scontato, ma ritenendo che dovesse affermarsi la legalità a cominciare dal più importante organo comunale, mi adoperai subito dopo perché alcuni cittadini, da me rappresentati ed assistiti unitamente all’Avv. Nicola Savino, impugnassero la relativa Deliberazione dinanzi al Tribunale di Lagonegro. Ebbene, quest’ultimo, con sentenza civile n. 125 del 1978 (Dott. Ciro Raiola –Presidente, Dott. Michele Rescigno e Dott. Giancarlo Grippo – Giudici), accolse il Ricorso e per l’effetto dichiarò decaduti i tre Assessori dalla carica di consigliere comunale del Comune di Maratea, condannandoli al pagamento in solido delle spese del giudizio. Uno di essi, con gli Avvocati Aldo Morlino e Franco Tedeschi, propose appello alla Corte di Potenza- Sez. civile, che ne dichiarò la improcedibilità con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del relativo giudizio (Sent. n. 239 del 13 dicembre 1978).
Ero proprio agli inizi della professione forense e mi ritrovai ad affrontare un caso estremamente delicato che si concluse positivamente. I tre Assessori comunali, tra i quali il vicesindaco, furono costretti a lasciare Giunta e Consiglio comunale ed il piccolo gruppo di minoranza ebbe modo di far affermare, comunque, il principio di legalità in difesa del Comune di Maratea.
Consigliere comunale, sempre di minoranza a Maratea dal 1975 al 1990, mi sono ritrovato, anche in anni successivi, ad affrontare casi caratterizzati da opportuna, anzi necessaria, difesa dell’Ente pubblico locale.
                                          

IL  BALLO  DELLA  MADONNA

 
Ho conosciuto il giornalista lucano Pietro Valicenti perché nominato suo difensore d’Ufficio in procedimento penale, nel quale era imputato per il reato di ingiurie a seguito di querela sporta da Maresciallo dei Carabinieri. La difesa d’Ufficio fu trasformata subito in difesa di fiducia ed ebbi modo di assistere e difendere una simpatica persona che riuscii alla fine a far assolvere dal Giudice di Pace, competente per il reato contestatogli.  Ecco cosa era accaduto a Pasquetta del 2009:

Il Valicenti partecipava ad una processione in un Comune della nostra Regione ed era uno dei “portatori” a spalla della Madonna che, secondo antica consuetudine, ad un certo punto del percorso, al momento dell'incontro tra due comunità, doveva ballare per qualche minuto insieme ai partecipanti. Sennonchè questa volta il Parroco si opponeva a tale rito e ritenne, al momento opportuno, di vietarlo. Il nostro giornalista, originario di quel Comune, sempre sotto il peso della Madonna, invocò il rispetto della tradizione interloquendo direttamente con il Parroco. Ad un tratto si avvicinò il Maresciallo, che intervenne tra i due tappando con la sua mano la bocca del Valicenti per zittirlo. Questi fece rilevare al militare di non trovarsi a Piazza Tienanmen di Pechino e, fortemente adirato, lo apostrofò subito con l’epiteto “pagliaccio in divisa”. Anche il Parroco fu apostrofato con l’epiteto “pagliaccio in abito talare”. La cosa naturalmente finì lì soltanto per il Parroco, con il quale già in serata vi fu chiarimento e riappacificazione, ma non per il Maresciallo, che procedette all’immediato arresto del giornalista, costretto a desistere dal portare a spalla oltre la Madonna per essere accompagnato in caserma. La competente Procura della Repubblica ne dispose poco dopo l’immediato rilascio ed il Maresciallo dovette accontentarsi della querela per ingiurie e del conseguente processo penale a carico del giornalista, che tanto aveva osato nei suoi confronti. Il Giudice di Pace, dopo le udienze di rito, accolse la tesi da me sostenuta, quale difensore dell’imputato, assolvendolo dal reato a lui ascritto per la provata esistenza della provocazione. In pratica, il Giudice riconobbe che il fatto-reato era stato commesso nello stato d’ira provocato da un fatto ingiusto altrui (la mano del Maresciallo sulla bocca del Valicenti, mentre questi discuteva con il Parroco).


Il giornalista ed io non potemmo che apprezzare lo “Stato di diritto”, come in quell’occasione rappresentato dal Giudice di Pace.

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