-40 anni di professione forense-
LEGALITÀ IN CONSIGLIO COMUNALE
Richiamo alla mente un’esperienza vissuta
nell’anno 1978: Nel 1975 ero stato eletto Consigliere comunale di
minoranza a Maratea e, giovane avvocato, mi ritrovai poco dopo ad affrontare un
caso di decadenza dal Consiglio comunale di ben tre Assessori, tra i quali il
vicesindaco, che erano stati ciascuno destinatario di Ordinanza di demolizione
e rimessa in pristino di opere abusive da essi non eseguita con conseguente
procedimento penale a carico. Allora bastava questo per versare in
situazione di incompatibilità con la carica ricoperta ed a me, con il consenso
del piccolo gruppo di appartenenza, sembrò opportuno richiederne la decadenza
per lite pendente dalla carica di Consigliere comunale, come previsto, con voto
in Consiglio. Il caso, con grande imbarazzo del Sindaco, della Giunta e del
Gruppo di maggioranza, fu posto all’ordine del giorno ed il 28 aprile 1978,
dopo lunga discussione, la massima assemblea cittadina si espresse contro la
decadenza per lite pendente con il Comune (presenti 18 Consiglieri, votanti 17,
astenuti 1, contrari 14, favorevoli 2, schede bianche 1).
Ero proprio agli inizi della professione
forense e mi ritrovai ad affrontare un caso estremamente delicato che si
concluse positivamente. I tre Assessori comunali, tra i quali il vicesindaco,
furono costretti a lasciare Giunta e Consiglio comunale ed il piccolo gruppo di
minoranza ebbe modo di far affermare, comunque, il principio di legalità in
difesa del Comune di Maratea.
Consigliere comunale, sempre di minoranza
a Maratea dal 1975 al 1990, mi sono ritrovato, anche in anni successivi, ad
affrontare casi caratterizzati da opportuna, anzi necessaria, difesa dell’Ente
pubblico locale.
Ho conosciuto il giornalista lucano Pietro
Valicenti perché nominato suo difensore d’Ufficio in procedimento penale, nel
quale era imputato per il reato di ingiurie a seguito di querela sporta da
Maresciallo dei Carabinieri. La difesa d’Ufficio fu trasformata subito in
difesa di fiducia ed ebbi modo di assistere e difendere una simpatica persona
che riuscii alla fine a far assolvere dal Giudice di Pace, competente per il
reato contestatogli. Ecco cosa era accaduto a Pasquetta del 2009:
Il Valicenti partecipava ad una
processione in un Comune della nostra Regione ed era uno dei “portatori” a
spalla della Madonna che, secondo antica consuetudine, ad un certo punto del percorso, al momento dell'incontro tra due comunità, doveva
ballare per qualche minuto insieme ai partecipanti. Sennonchè questa volta il Parroco si opponeva a
tale rito e ritenne, al momento opportuno, di vietarlo. Il nostro giornalista, originario di quel Comune,
sempre sotto il peso della Madonna, invocò il rispetto della tradizione
interloquendo direttamente con il Parroco. Ad un tratto si avvicinò il
Maresciallo, che intervenne tra i due tappando con la sua mano la bocca del
Valicenti per zittirlo. Questi fece rilevare al militare di non trovarsi a
Piazza Tienanmen di Pechino e, fortemente adirato, lo apostrofò subito con l’epiteto
“pagliaccio in divisa”. Anche il Parroco fu apostrofato con l’epiteto
“pagliaccio in abito talare”. La cosa naturalmente finì lì soltanto per il
Parroco, con il quale già in serata vi fu chiarimento e riappacificazione, ma
non per il Maresciallo, che procedette all’immediato arresto del giornalista,
costretto a desistere dal portare a spalla oltre la Madonna per essere
accompagnato in caserma. La competente Procura della Repubblica ne dispose poco
dopo l’immediato rilascio ed il Maresciallo dovette accontentarsi della querela
per ingiurie e del conseguente processo penale a carico del giornalista, che
tanto aveva osato nei suoi confronti. Il Giudice di Pace, dopo le udienze di
rito, accolse la tesi da me sostenuta, quale difensore dell’imputato, assolvendolo
dal reato a lui ascritto per la provata esistenza della provocazione. In
pratica, il Giudice riconobbe che il fatto-reato era stato commesso nello stato
d’ira provocato da un fatto ingiusto altrui (la mano del Maresciallo sulla
bocca del Valicenti, mentre questi discuteva con il Parroco).
Il giornalista ed io non potemmo che
apprezzare lo “Stato di diritto”, come in quell’occasione rappresentato dal
Giudice di Pace.
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