Da "Nessuno tocchi Caino newletter" - Anno 2021 n. 27 del 3 luglio 2021 -
PER DIFENDERE ABELE LO STATO NON DIVENTI CAINO Elisabetta
Zamparutti
Tortura viene da torto (participio passato del verbo
torcere) e a guardare le immagini di quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere
capiamo cosa significa vivere in uno Stato di Torto e non in uno Stato di
Diritto. Siamo stati condannati dalla Corte Europea per i Diritti Umani per i
fatti di Genova avvenuti vent’anni fa; abbiamo faticato trent’anni per
introdurre il reato di tortura senza neppure riuscire ad attenerci alla
definizione chiara e semplice della Convenzione contro la tortura.
Prevenire la tortura, il ricorso alla violenza e all’uso
eccessivo della forza significa trasformare allora ciò che è Torto in Diritto
in modo che la norma, la regola, sia innanzitutto il limite all’uso della forza
arbitraria da parte dello Stato. L’autoritarismo deve lasciare il passo
all’autorevolezza. E autorevole è la Ministra Marta Cartabia che ha
pubblicamente condannato l’accaduto e soprattutto ha sottolineato la necessità
di rafforzare l’attività di formazione del personale dell’amministrazione
penitenziaria.
I rapporti, le raccomandazioni, gli standard del Comitato
europeo per la prevenzione della tortura insieme a quanto prodotto dal
Consiglio d’Europa nel suo insieme restano una guida a sua disposizione in
questo senso. “Legge e ordine” deve essere il nostro motto, inteso come
sinonimo di coerenza e armonia tra idee, sentimenti e comportamenti orientati
ai valori umani universali, per sottrarlo così a chi lo ha malamente
monopolizzato e interpretato. Mi riferisco a quelli del potere fine a sé
stesso, quelli del “disordine costituito” per dirla con Pannella, quando parlava
dei depistaggi, delle coperture istituzionali e di categoria, delle impunità e
della mancanza di inchieste effettive. Le immagini, come quelle diffuse solo
ora su quanto accaduto oltre un anno fa, hanno sempre una potenza comunicativa
e conoscitiva ed è un bene che siano circolate. Spiegano a cosa porti il
malsano senso della “legalità”, quella che ridicolizza lo Stato di Diritto, e
che ha avuto dep rimente espressione
nelle argomentazioni fornite dal precedente Ministro della Giustizia Alfonso
Bonafede quando in Parlamento spiegò l’operato di alcuni agenti nel carcere di
Santa Maria Capua Vetere come un’operazione di “ripristino della legalità”.
Quelle immagini sono la riprova dell’utilità della
videosorveglianza come utile può essere l’adozione di codici identificativi,
forse più utile ed urgente di quanto poteva essere l’introduzione del taser e
lo dico nell’interesse della stessa polizia penitenziaria.
Di fronte ad immagini tanto evidenti quanto disperanti,
come fossimo a Baghdad i pestaggi avvengono lungo un “corridoio umano” di
agenti, mi sento di dire oggi, che anche per questo corpo di polizia vale il
nostro Nessuno tocchi Caino. Nessuno tocchi Caino è rivolto allo Stato, al
Potere che cede, degrada alla aberrante, violenta logica dell’emergenza per la
quale, nel nome di Abele, per difendere Abele, diventa esso stesso Caino, uno
Stato-Caino che pratica la pena di morte, la pena fino alla morte e la morte
per pena. Noi siamo i primi difensori dello Stato, se ha i connotati di uno
Stato di Diritto. Per questo noi diciamo: Nessuno tocchi Caino! Lo diciamo
anche per non incorrere nell’errore di dare per scontata la responsabilità di
chi oggi è indagato, il cui accertamento spetta solo all’autorità giudiziaria.
Per la comunità penitenziaria nel suo insieme vale il
nostro Spes contra spem che non è solo un motto, è anche un metodo, un
progetto, una teoria dell’organizzazione e della prassi politica.
Spes contra spem è rivolto a chi decide di cambiare se
stesso, convertire la sua vita dal male al bene, dalla violenza alla
nonviolenza, perché sia appunto il cambiamento del suo modo d’essere – di
pensare, di sentire e di agire – profetico del cambiamento del mondo in cui
vive, dell’ambiente in cui vive, del carcere in cui vive. Spes contra spem è
l’iniziativa più adeguata perché volta a far sì che il carcere, luogo
strutturalmente concepito come patimento, penitenza (non a caso si chiama
penitenziario), luogo totalitario e totalizzante, sia definitivamente superato.