Anche perchè coinvolto in recente dibattito locale sul tema, la mia
curiosità è stata attratta da “La Merda d’artista”, opera d’arte di Piero
Manzoni, meritevole di qualche riflessione.
Ricordo di aver appreso tra i banchi dell’antica e
prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli,
poi intitolata a “Federico II”, che
Celso, nel secondo secolo dopo Cristo, aveva definito il Diritto come “l’arte
di ciò che è buono ed equo” ( nella sua lingua, “Ius est ars boni ed aequi”).
Dunque, in qualche modo e certamente solo in senso lato anch’io, per essermi da allora poi sempre dedicato allo
studio del Diritto ed alla sua applicazione nella vita pratica, sono un artista
con i ricordi scolastici dei testi di Storia dell’arte del Liceo classico. Li
conservo ancora questi libri nel mio archivio e ad essi si sono aggiunti via
via quelli dei miei figli fino all’ultimo, ora studente presso il Liceo artistico di Maratea.
Il giurista romano aveva inteso esprimere l’aspirazione del
Diritto (“Ius”) verso valori morali ed etici e l’importanza della morale nel
Diritto, espressa anche in locuzioni di altri giuristi, tra le quali rimane
famosa quella delle tre Regole di
Ulpiano: “Honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”, che
troneggia sul Palazzo di Giustizia di Milano. Valori morali ed etici, nella
storia dopo Cristo, costituiscono e devono costituire in tutti i campi ed in
tutte le espressioni umane una sorta di stella polare o, se preferite, una
sorta di faro per i naviganti. E tra questi valori non vi sono di certo la fama
personale a tutti costi o, peggio ancora, il danaro, pur sempre pronto a
prendere, in ogni tempo ed in ogni luogo, il sopravvento ed a proporsi come
tale a guida dei comportamenti umani.
Ebbene, è comprensibile che anche il mondo dell’arte e degli
artisti abbia subito o subisca le
tentazioni del consumismo capitalistico tanto da generare poi in qualcuno una
estrema forma di ripulsa, come espressa
nella cennata opera d’arte di Piero Manzoni, nota come “MERDA D’ARTISTA”, annoverata da
molti come la più grande e famosa opera d’arte del ‘900 italiano ed indicata
addirittura da Vittorio Sgarbi come “la migliore opera d’arte mai vista nella
storia dell’uomo”.
Di che si tratta? In breve,
il Manzoni il 21 maggio 1961 sigillò le proprie feci (qualcuno ha però
affermato che si trattava solo di gesso) in 90 barattoli di latta, identici a
quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un’etichetta, tradotta in
varie lingue, con la scritta “Merda d’artista - Contenuto netto gr. 30-
Conservata al naturale- Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Sulla parte
superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90 insieme alla
firma dell’artista. Il Manzoni, da non confondersi con il ben più noto
Alessandro, mise a questi barattoli il prezzo corrispondente per 30 grammi di
oro, alludendo al valore dell’artista che, grazie ai meccanismi commerciali
della società dei consumi, poteva vendere al valore dell’oro una parte di se
stesso.
Attualmente i barattoli sono conservati in diverse collezioni
d’arte in tutto il mondo e, ad esempio,
il barattolo 80 è esposto nel Museo del Novecento di Milano mentre il barattolo
numero 12 è conservato a Napoli nel Museo d’arte contemporanea Donnaregina
(Madre). Il valore di ciascun barattolo è stimato intorno ai 70.000 euro ed è
destinato ad aumentare. Si pensi poi che a Milano un collezionista privato
europeo si è aggiudicato all’asta l’esemplare numero 18 a ben 124.000 euro.
In realtà, Piero Manzoni intendeva criticare la produzione di
massa ed il consumismo che avevano cambiato la società italiana dopo la seconda
guerra mondiale e si soffermò sulla figura dell’artista, tema centrale della
sua ricerca. Con una tale opera, così provocatoria,
egli voleva esprimere la sua “protesta” per denunciare e contrastare, a suo
modo, le assurdità artistiche: qualsiasi prodotto veniva, infatti, premiato e
considerato arte non per il valore intrinseco, la capacità dell’artista o ciò
che suscitava, ma solo per la notorietà che l’artista era riuscito in tutto i
modi, anche autoreferenziali, poco
leciti o corretti, a guadagnarsi, magari facendosi “imprenditore” di se stesso,
magnificando direttamente o indirettamente la sua arte e vedendo in essa un
mezzo per eternarsi a tutti i costi.
La critica, superato il primo momento del tutto
scandalistico, ha poi percorso varie strade
per suggerire diverse letture simboliche dell’opera, tra le quali le
seguenti:
-l’idea che un artista più o meno affermato troverebbe
mercato e consenso per qualsiasi sua opera, anche per la più scadente e banale
-le caratteristiche del mercato dell’arte moderna o
contemporanea in quanto pronto ad accettare letteralmente della “merda”, purchè
in edizione numerata e garantita nella sua autenticità ed esclusività
dall’autore e da un Notaio.
Naturalmente, dopo questo “approfondimento” e nel comprendere
la protesta del Manzoni (Piero), valida ieri ed ancora ai nostri giorni
dominati da profonda crisi economica e di valori, io preferisco tornare,
comunque, ai miei impolverati libri di storia dell’arte e viaggiare con
essi in compagnia dell’arte.
Naturalmente mi riferisco a quella vera e “robusta”, che sfida il tempo e
rimane “eterna”, facendo giustizia di ogni altra passeggera e contingente se
non, a volte, sua miserevole espressione, figlia di artisti maestri… di
autoreferenzialità anche in momenti in
cui questa non può che essere assolutamente inopportuna se non
sconveniente.
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