-In ricordo della Preside Labanchi-
Sono sicuro che mia zia, Letizia Labanchi, recentemente scomparsa, mi perdonerà se, mosso dal vivo interesse per un suo articolo pubblicato sulla Rivista "Parallelo 38" (n. 5 settembre-ottobre 2007) -Garante Giuseppe Reale-, ne ho qui modificato il titolo da "LA SCUOLA CHE FU" in "LA SCUOLA".
L'autrice si riferiva al suo primo anno di insegnamento (1940-41) e raccontava un episodio legato al suo ruolo di educatrice ed al suo servizio durato poi 43 anni. Si tratta, a mio parere, di uno scritto che merita di uscire, per così dire, dall'archivio per essere riproposto con riferimento alla Scuola di ogni tempo, anche il nostro.
Titolo a parte, ne riporto, di seguito e senza alcun commento, fedelmente il testo:
Titolo a parte, ne riporto, di seguito e senza alcun commento, fedelmente il testo:
"Certe notizie diffuse dalla televisione mi sembrano esagerate, forse inventate, incredibili!
Il mondo della Scuola divenuto addirittura il teatro di avvenimenti di ogni genere:violenze, ribellioni, disordini vari. Addirittura un genitore che, più incosciente del figlio, picchia il Preside perché questi ardisce chiedere il rispetto delle leggi.
Son le leggi...! (d'Italia)...così rotte? verrebbe da chiedersi con Catone, il custode del Purgatorio dantesco. Sento spesso parlare di insegnanti che, nauseati, escono prematuramente dal servizio in cui sono entrati con entusiasmo. Possibile?
Io ne sono uscita dopo 43 anni con tanto rimpianto.
Ecco, a questo punto, affiorare nella mente ricordi lontani...belli... episodi avvenuti tanti anni fa, testimoni di una vita scolastica in cui i rapporti fra insegnanti ed alunni erano il normale rapporto tra chi deve insegnare ed educare e chi chiede di imparare. Ecco, mi rivedo davanti il mio primo anno d'insegnamento: 1940-41.
Una classe femminile in un Istituto Parificato, ragazze di II Magistrale inferiore (pressappoco II Media), primi anni di guerra.
Mi era stata affidata la cattedra di Lettere (italiano, latino, storia e geografia).
L'Antologia italiana portava solo brani riguardanti battaglie, eroismi, lutti del passato e poesie come Veglia di Sentinelle, Se devi scrivere alla mia casa..., La Sagra di Santa Gorizia e via dicendo.
In più c'erano le battaglie dell'Iliade.
Non ne potevo più. Allora pensai di offrire alle mie piccole allieve qualcosa di arioso e portai in classe L'Ulivo di Pascoli.
Avrei dettato ad uno ad uno le tre parti di cui consta il poemetto, e dettai la prima parte.
Il giorno in cui le alunne avrebbero portato a memoria col commento adeguato la poesia, trovai, seduto al mio posto prima che io entrassi, l'Ispettore che veniva annualmente a controllare l'andamento della Scuola.
Chiese quali materie insegnavo, che lezione era in programma per quel giorno, ed io risposi che le alunne sarebbero stare interrogate su una poesia quella da me dettata, ecc.ecc.
Mi disse subito che non era consigliabile perdere del tempo a dettare qualcosa, quando c'era un'antologia pronta. Io dissi che non si perdeva molto tempo, e poi nell'antologia c'erano solo poesie affliggenti, con morti che "dormivano con tante carni di madri accanto" e morti che venivano per Natale e domandavano "Perché sorellina, quel nastro nero tra i capelli"?
Insomma avevo voluto far respirare e respirare anch'io un po'.
Egli allora mi obiettò che c'era un altro pericolo che le alunne non avessero scritto bene o non avessero portato, tutte, il quaderno con la poesia loro dettata.
Io mi sentii poco sicura: non mi ero mai preoccupata fino a quel giorno di chiedere se tutte avessero il loro quaderno, e chiesi, non senza intimo tremore, se avessero tutte, davanti, la poesia.
Le alunne fino a quel momento avevano seguito la conversazione in silenzio, composte e tranquille, ma alla mia domanda risposero in coro mostrando i loro quaderni: Sì, eccola!
Sollevata, aspettavo altre obiezioni, o che l'Ispettore chiamasse qualcuna per interrogarla, quando lo vidi alzarsi ed andare verso la porta, senza parlare.
Non capivo perché: sarebbe tornato?
Dopo un po' di attesa capimmo che aveva terminato la visita ed era andato via per fare la sua relazione.
Un coro di protesta dalle piccole voci:
Che maleducato! Non ha nemmeno salutato!
Le feci tacere, e quando fui ben sicura che egli non sarebbe tornato, dissi: Brave! Meno male che avevate tutte il quaderno...!
Mi rispose una risata birichina e fui invitata a controllare i quaderni.
Allibii! Una aveva sollevato il quaderno di francese, un'altra quello di matematica, di italiano, con la poesia ce n'erano pochi.
Ma tutte sapevano a memoria la poesia, tutte furono pronte a scrivere la seconda parte.
Quando fossero state dettate tutte e tre le parti, le avrebbero ricopiate in bella.
E se colui avesse voluto vedere coi propri occhi...? Ero ancora un po' trepidante ma divertita, e piena di ammirazione per quelle ragazze che erano state così solidali con la loro professoressa.
Le ricordo ancora: alcune con il visetto paffuto, altre sempre trafficanti sotto il banco per cercare la penna o il libro, alcune con l'espressione preoccupata di chi teme di essere interrogata, altre serie e composte come piccole donne consapevoli del loro dovere.
Una di esse, ormai nonna, vive a Maratea, e riesce ad incontrarmi qualche volta, seria e dolce come era da adolescente. Di altre sento qualche volta la voce per telefono quando si ricordano di darmi gli auguri a Natale.
Di molte non ho avuto più notizie. Ma sono sicura che nel loro cuore c'è lo stesso affettuoso ricordo che serba il mio di quel periodo.
Il Preside, finita la visita ispettiva, mi chiamò in Presidenza per dirmi che l'Ispettore aveva deplorato il fatto che, nel momento in cui la Patria era in guerra, l'insegnante fosse ricorsa a un evidente simbolo di pace: l'ulivo.
Forse il mio gesto poteva essere interpretato come un tradimento, un sabotaggio, quando tanti giovani erano impegnati nel servizio militare? E una pace opera di giustizia.
Ma anch'io avevo due fratelli sotto le armi e vivevo la terribile realtà della guerra.
Solo allora mi resi conto di aver inconsciamente seguito l'impulso del cuore che desidera la pace.
Un desiderio che non riesce a soffocare nessuna propaganda di violenza e di odio per quanto ammantata di eroismo e di gloria".
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