martedì 29 marzo 2016

RICORDANDO LA PRESIDE LABANCHI

Da "Il Giglio di San Biagio" -Periodico bimestrale della Parrocchia Santa Maria Maggiore di Maratea- estrapolo e trascrivo di seguito un articolo del Prof. Francesco Sisinni:
 
"Accolgo, con animo grato, l’invito del Parroco don Luigi, di consegnare a questo speciale “Messaggero” (che, grazie a lui, riprende voce dopo lungo silenzio), note di ricordo della Prof. Letizia Labanchi (la “preside”, come tutti da anni la chiamavano), perché giova a tutti ed in specie ai giovani, far memoria di quanto merita di essere ricordato: “memorabilia”, sicché soprattutto i giovani non siano defraudati di quella eredità di principi e valori etici, civili e religiosi, su cui si può proficuamente costruire un più umano futuro; eredità tanto più preziosa quanto più il brutto ed il volgare confondono i sistemi ed offuscano le menti.


E così, lasciando al tempo della storia (tempo che non può essere il presente per quel coinvolgimento, che non garantisce l’obiettività che pur la storia esige), la fatica interpretativa di una personalità così semplice, quanto complessa, mi limiterò a riflettere su quel che a me pare il “lascito” più significativo, che tutti gli altri comprende: l’esempio.

Esemplare, infatti, è stata Ella nella Scuola, nell’insegnamento e nella guida, in cui il compito, scelto per attitudine e vocazione, ha saputo svolgere con alto senso di responsabilità e con intelligente ed amorevole cura. E ciò grazie a quella cultura, che ci costruisce, giorno per giorno, alla “lezione degli antichi” e, nel contempo, nel “laboratorio dei moderni” ed a quella tensione morale, che conosce più l’imperativo categorico Kantiano, che le edulcorate fabulazioni di comodo, ovvero, l’ammonimento di Tommaso d’Aquino, secondo cui nella Morale il compromesso è un’ipotesi impossibile! E  grazie, anche, a quella concezione dell’Uomo, che rinvia al Maritainiano “Umanesimo Integrale”, in cui l’uomo stesso, individuo unico ed irripetibile (per dirla ancora con Tommaso), è segnato, nel tempo e nello spazio, cui pure appartiene, dall’ansia dell’infinito e dell’eterno.

Perciò il suo insegnamento non poteva che perseguire il “Sapere” (che viene da sapor), più che i “saperi”, che, imbrigliando nell’esasperato monadologismo,  inducono alla perdita, con l’unità dell’uomo stesso, del senso della storia: una saggezza, cioè, che, tra l’altro, ignora il conflitto tra Scienza e Fede.

Esemplare è stata ancora nella vita, la cui testimonianza si inscrive in quella sorta di volontariato etico, o meglio, laico-cristiano, che, fondandosi, certo, su attitudine e vocazione, si alimenta di cultura e si attua nell’impegno totalizzante della missione: una testimonianza, che investe anzitutto la persona, la quale prova la sua credibilità nella stima che riscuote in istituzioni ed ambienti diversi e che, conseguentemente, si manifesta in una condotta di dedizione ad una causa alta, ovvero, a quella gratuità gioiosa del dono, che conosce e premia chi si pone nella sequela di Cristo.

Ricordo che, nel clima inquieto ed inquietante del post Concilio Vaticano II, Ella mi volle far dono della “Lumen Gentium”, sottolineandomi, in particolare il cap. IV, ove si invitano i laici ad essere nel mondo “ciò che l’anima è nel corpo”, ovvero “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5,13-14). Su quel testo, nei nostri consueti incontri, siamo tornati più volte, ora alla luce della lettura di Giuseppe Lazzati (v. esegesi della lettera “A Diogneto”) o di Benedetto XVI (v. l’Enciclica “Deus caritas est”) ed ora, piuttosto, interpellandoci alla stregua del messaggio di Caterina da Siena (v. “La Città prestata”), ma, anche, del nostro venerato Cardinale Casimiro Gennari (v. “Sui doveri dei cattolici nelle rappresentanze politiche ed amministrative”), in relazione all’impegno cristiano per il conseguimento del “bene comune”, ossia, di quel nuovo Umanesimo finalmente fondato sull’Amore.

E vorrei concludere con l’auspicio che tanto “lascito” non resti infruttuoso, soprattutto nella nostra Maratea, che da giovinetta fino agli ultimi giorni ha liricamente sublimato nei paesaggi, nelle chiese e nelle contrade e nella “sua” Scuola, che volemmo intitolare al nostro Cardinale,  la quale, spero, vorrà intanto ricordarLa, semmai dedicandoLe la Biblioteca o un’aula".

                                                                                                  Francesco Sisinni

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