Federico Rossi, originario di Anzi (PZ), Maestro e Direttore didattico a Maratea, insignito in data 11 giugno 1911 dal Re d'Italia Vittorio Emanuele III della medaglia d'oro "per aver compiuto quarant'anni di lodevole servizio nelle scuole elementari", mio bisnonno dal lato paterno (anche mia nonna, Immacolata Rossi, fu maestra elementare a Maratea), è l'autore di un volumetto dal titolo "LA VITA D'UN MAESTRO" -Società editrice Dante Alighieri - Roma 1900. Don Federico dedicò quelle pagine a Edmondo De Amicis, autore del "Romanzo d'un Maestro" e questi, in data Torino 3 giugno 1900, gli scrisse: "La ringrazio con tutto il cuore e accetto la dedica. Con l'espressione della mia gratitudine abbia gli affettuosi auguri".
Dopo poche parole di Prefazione a cura dell'Autore, seguono XIV brevi racconti di "vita reale, effettivamente trascorsa, non avventurosa né straordinaria, ma che ha attuale esistenza nell'ordine delle cose...". Ne trascrivo di seguito il II, dal titolo "SOCIOLOGIA PRATICA", nel quale il Maestro descrive un fatto accadutogli presso la scuola di Maratea:
"Le scuole comunali di M...in Basilicata sono poste in un ex monastero di cappuccini, e siccome questo locale è distante alcune centinaia di metri dall'abitato, i maestri hanno preso la lodevole abitudine, al termine delle lezioni quotidiane, di far mettere i loro alunni in fila sullo spiazzo attiguo al monastero, per poi condurli fino ad un largo del paese, dove, al comando di rompete le righe, i fanciulli prendono tranquillamente la via della propria abitazione.
Si evitano in tal modo, tra la scuola e l'abitato, i chiassi, le corse all'impazzata e simili monellerie, che fanno così male all'occhio di chi passa, in certi Comuni, presso le scuole, all'ora dell'uscita, e danno motivo di far ripetere all'osservatore: Le nostre scuole istruiscono ma non educano.
Or dunque, in una giornata di quell'inverno, i fanciulli della IV e V classe erano, dopo la lezione del mattino, già in fila davanti il monastero, e non si attendeva per partire che il comando del maestro il quale era rimasto pochi passi indietro nell'atrio, quando il medesimo, giunto alla porta d'uscita, si accorse di un certo movimento tra le fila della squadra e vide lo scolaro Esposito che era spinto avanti e indietro dai suoi compagni, i quali non volevano accettarlo nelle loro coppie.
Il maestro comprese tutto in un subito.
L'alunno Esposito era un povero trovatello, male in arnese e peggio nutrito, e il compagno presso il quale aveva tentato accostarsi per metterglisi a fianco, era figlio d'un ricco negoziante, con la cartella dalle borchie lucide a tracolla, con le scarpe verniciate scricchiolanti e la piuma al caschetto. Ma fingendo di non essersi accorto di nulla, e per dare in pubblico una lezione all'intera scolaresca, si accostò alla squadra e disse: -Ehi! Esposito, che c'è? Perché non ti metti in fila?
Il fanciullo arrossì, e timidamente rispose a bassa voce: -Signor maestro, De... non mi vuole per compagno, e mi ha spinto più innanzi; gli altri hanno fatto lo stesso, ed io non ho con chi andare unito.
-Olà, disse il maestro, alzando la voce, rivolto a suo figlio Cecchino, che era in prima fila, vieni qua e da oggi in poi sarai tu, sempre tu il compagno di Esposito, all'uscita dalla scuola.- Che bravi ragazzi tengo io nella mia classe! - Quante volte vi ho ripetuto che siete tutti eguali, poveri o ricchi, laceri o ben vestiti, perché siete tutti fratelli?
L'alunno che aveva discacciato il compagno infelice curvò la testa e si unì con l'altro che era rimasto solo, dopo che il figlio del maestro era stato chiamato nella fila di Esposito. - Allora il maestro gridò: Squadra, avanti, marche!
All'uscita della lezione pomeridiana e dei giorni successivi, Cecchino fu sempre il compagno del povero trovatello; ma, dopo qualche settimana, questi prese posto al fianco degli altri scolari che gli capitavano dinanzi, compreso il figlio del negoziante, senza che alcuno gli facesse più osservazioni di sorta.
I fanciulli, senza dubbio, dovettero fare tra loro questo ragionamento: - Se il signor maestro ha voluto che il suo stesso figlio tenesse compagnia ad Esposito, ciò vuol dire che non fa mica vergogna unirsi ad un buon ragazzo, solo perché disgraziato e mal vestito...Non vi pare?
Molto bene arreca alla società la scuola, quando è veramente educativa!".
Erano altri tempi, ma il messaggio del Maestro, don Federico Rossi, è di estrema attualità e lo sarà anche per le generazioni future.
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