Rocco Papaleo, Lauria (PZ) 16/8/1958 |
Articolo pubblicato sul n. 25 di Vanity Fair (in edicola fino al 30 giugno).
LE TASCHE PIENE DI SASSI
di Rocco Papaleo
19 giugno 2020
Sono nato in Basilicata. La mia è la storia di uno che voleva
andarsene e se ne è andato, ma non abbastanza in fretta da non accordarsi al
suo ritmo, alla sua malinconica allegria. Da ragazzo, o meglio da quando
cominci veramente a guardarti intorno, non era nelle mie curiosità scoprire e
visitare le zone limitrofe, ero più portato all’allontanarmi verso le grandi
città o a subire la lusinga dell’estero, conoscevo i paesi della mia valle, ero
stato qualche volta a Potenza, ma sono stato prima a New York e poi a Matera.
Ciononostante, nella parte della mia vita spesa completamente da quelle parti,
la «lucanità» mi ha fatto prigioniero col vecchio trucco di lasciarmi libero di
andare dove mi pareva. Così è successo che quando, per ragioni artistiche, ho
dovuto addentrarmi nelle sue pieghe, l’ho scoperta e ho scoperto me stesso.
Perché la lucanità vive nella sua geografia, a tratti
rigogliosa ed esplicita, a tratti lunare e taciturna, da una parte boschi,
vigne, grano, dall’altra occasioni per fare la poesia. La Basilicata è timida,
gentile, discreta, interna e per lunghi anni è stata praticamente
irraggiungibile. Povera ma bella come la
fine degli anni ’50, ricca e polemica come il petrolio, piccola e spaziosa,
poco abitata, difficile incontrare una folla.
Il distanziamento sociale, com’era prevedibile, non ci ha
spiazzati. Noi che siamo cresciuti nei nostri paesi e nelle nostre piccole
città abbiamo fatto grandi sogni. Non voglio dire che chi cresce in una grande
città fa sogni più piccoli, dico solo che i metropolitani fanno sogni più
precisi, più dettagliati, noi di paese sogniamo più a vanvera. Molti di noi
quei sogni sono andati a realizzarli altrove, ma è lì che li hanno fatti, è da
lì che hanno immaginato il mondo, è lì che inconsciamente hanno allenato la
capacità di affrontare il viaggio. È una terra, la nostra, che ti sorveglia con
le sue morali e le sue arretratezze, che è stanca dei soliti giochi ma non sa cambiare
le regole, che ti suggerisce l’insoddisfazione.
Poi improvvisamente un conforto, un interessamento sincero per la tua
vicenda, un senso di comunità, una compassione autentica per la malasorte di un
altro. E quella pazienza granitica, senza scadenza, che se non sfociasse spesso
nella rassegnazione, sarebbe preziosa. Ma quello che mi commuove è l’incapacità
di gestire i complimenti ricevuti, l’inclinazione a sminuirsi più per pudore
che per modestia, mai euforia dopo gli apprezzamenti ma piccoli guizzi di
felicità tenuti a bada. Mi sento di appartenere a questa cifra e dunque amo la
Basilicata e i lucani, non fosse altro che per invogliarmi ad amare me stesso.
La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se ne è andato, ma che ora
vuole tornare.
(*Rocco Papaleo, 61 anni, recita,
dirige e scrive film. Alle sue radici ha dedicato la sua opera prima:
Basilicata coast to coast, con cui ha vinto il David di Donatello).
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