sabato 20 giugno 2020

ROCCO PAPALEO E LA BASILICATA

Rocco Papaleo, Lauria (PZ) 16/8/1958
Articolo pubblicato sul n. 25 di Vanity Fair (in edicola fino al 30 giugno).

LE  TASCHE  PIENE  DI  SASSI

di  Rocco  Papaleo

19 giugno 2020

Sono nato in Basilicata. La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se ne è andato, ma non abbastanza in fretta da non accordarsi al suo ritmo, alla sua malinconica allegria. Da ragazzo, o meglio da quando cominci veramente a guardarti intorno, non era nelle mie curiosità scoprire e visitare le zone limitrofe, ero più portato all’allontanarmi verso le grandi città o a subire la lusinga dell’estero, conoscevo i paesi della mia valle, ero stato qualche volta a Potenza, ma sono stato prima a New York e poi a Matera. Ciononostante, nella parte della mia vita spesa completamente da quelle parti, la «lucanità» mi ha fatto prigioniero col vecchio trucco di lasciarmi libero di andare dove mi pareva. Così è successo che quando, per ragioni artistiche, ho dovuto addentrarmi nelle sue pieghe, l’ho scoperta e ho scoperto me stesso.

Perché la lucanità vive nella sua geografia, a tratti rigogliosa ed esplicita, a tratti lunare e taciturna, da una parte boschi, vigne, grano, dall’altra occasioni per fare la poesia. La Basilicata è timida, gentile, discreta, interna e per lunghi anni è stata praticamente irraggiungibile.  Povera ma bella come la fine degli anni ’50, ricca e polemica come il petrolio, piccola e spaziosa, poco abitata, difficile incontrare una folla.

Il distanziamento sociale, com’era prevedibile, non ci ha spiazzati. Noi che siamo cresciuti nei nostri paesi e nelle nostre piccole città abbiamo fatto grandi sogni. Non voglio dire che chi cresce in una grande città fa sogni più piccoli, dico solo che i metropolitani fanno sogni più precisi, più dettagliati, noi di paese sogniamo più a vanvera. Molti di noi quei sogni sono andati a realizzarli altrove, ma è lì che li hanno fatti, è da lì che hanno immaginato il mondo, è lì che inconsciamente hanno allenato la capacità di affrontare il viaggio. È una terra, la nostra, che ti sorveglia con le sue morali e le sue arretratezze, che è stanca dei soliti giochi ma non sa cambiare le regole, che ti suggerisce l’insoddisfazione.  Poi improvvisamente un conforto, un interessamento sincero per la tua vicenda, un senso di comunità, una compassione autentica per la malasorte di un altro. E quella pazienza granitica, senza scadenza, che se non sfociasse spesso nella rassegnazione, sarebbe preziosa. Ma quello che mi commuove è l’incapacità di gestire i complimenti ricevuti, l’inclinazione a sminuirsi più per pudore che per modestia, mai euforia dopo gli apprezzamenti ma piccoli guizzi di felicità tenuti a bada. Mi sento di appartenere a questa cifra e dunque amo la Basilicata e i lucani, non fosse altro che per invogliarmi ad amare me stesso. La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se ne è andato, ma che ora vuole tornare.

(*Rocco Papaleo, 61 anni, recita, dirige e scrive film. Alle sue radici ha dedicato la sua opera prima: Basilicata coast to coast, con cui ha vinto il David di Donatello).

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