Presunto autore di un fallito attentato contro Benito Mussolini a Bologna.
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| Anteo Zamboni |
Nato a Bologna, l'11 aprile 1911, soprannominato "Patata" in famiglia, incolpato immediatamente di aver sparato a Benito Mussolini a Bologna il 31 ottobre 1926, subì immediato linciaggio e fu trucidato all'incrocio tra via Rizzoli e via Indipendenza. I suoi familiari, a partire dal padre, furono arrestati. accusati di complicità e poi condannati.
- Da www.fondazionemicheletti.it -
Anteo Zamboni, il quindicenne che sparò al duce
L’attentato Zamboni è rimasto confinato tra gli episodi minori della recente storia italiana, come avvenimento dalle enormi potenzialità irrealizzate. È però uno dei tanti casi in cui – lungo gran parte del Novecento – si è manifestato un nodo irrisolto, tanto storico quanto politico, quello del rapporto tra antifascismo e violenza.
Sui fatti non ci sono molti dubbi. Il 31 ottobre 1926, al termine della visita a Bologna, dove ha celebrato l’anniversario della “marcia su Roma” e inaugurato il nuovo Stadio Littoriale, Mussolini sta avviandosi in auto verso la stazione quando, all’angolo tra Palazzo re Enzo e l’imbocco di via Indipendenza, viene sfiorato da un colpo di pistola. Testimoni e soldati del cordone di sicurezza – c’era anche il sergente Carlo Alberto Pasolini, il padre di Pier Paolo – disarmano e bloccano un quindicenne, su cui la folla e i molti militi fascisti presenti si accaniscono. Sul corpo del giovane, all’obitorio, verranno contate ben quattordici pugnalate profonde, un colpo di pistola e tracce di strangolamento. Il ragazzino linciato era Anteo Zamboni, figlio di un tipografo anarchico bolognese e apprendista nella tipografia del padre. La pistola inceppata apparteneva al padre.
L’attentato era il quarto nell’arco di un anno, e cadde nel pieno della svolta dittatoriale del regime, dopo le leggi che limitavano la libertà di stampa e abolivano il diritto di sciopero ma prima dello scioglimento dei partiti e dell’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Il processo fu “pilotato” proprio dal neocostituito Tribunale speciale che, nonostante le molte contraddizioni dei testimoni, giunse alla sbrigativa conclusione che si era trattato di un “complotto anarchico” con “complici famigliari”, cioè il padre e la zia, entrambi condannati a 30 anni di carcere, e il fratello. Quest’ultimo venne poi assolto nella revisioni del processo, padre e zia saranno graziati dal duce nel 1932.
Inconsistenti sono le molte ipotesi alimentate negli ambienti politici locali, fascisti e antifascisti. Alcune voci indicarono come mandanti gli esponenti dell’estremismo fascista dissidente (ma l’indagine riservata ordinata da Mussolini non portò a nulla). Poi si sospettò dell’“astro nascente” dello squadrismo bolognese, Leandro Arpinati, ex anarchico e amico di famiglia degli Zamboni, nel ’26 vicesegretario del PNF e podestà di Bologna, la cui brillante carriera fu stroncata solo molti anni dopo dalle trame del potere romano.
Nella “rossa Bologna” del dopoguerra, Anteo entrò nel pantheon dei “martiri antifascisti”, gli fu dedicata una via del quartiere universitario (Mura Anteo Zamboni) e una targa in suo onore venne murata nel 1958 in uno dei punti più visibili della città. Vi si riportano le parole tanto retoriche quanto ambigue (“martire” per “audace” amore di libertà) dettate da Roberto Vighi, socialista, avvocato difensore della famiglia Zamboni e presidente della Provincia di Bologna tra 1951 e 1970. Troppa enfasi, forse, per l’adolescente Anteo che aveva deciso di passare dalle parole veementi contro il “tiranno” sentite in famiglia al gesto esemplare e determinato, con conseguenze più grandi di lui.

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