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Giustizia
Famiglia nel bosco: la verità sulla decisione dei giudici
24 novembre 2025
di Marco Bellandi Giuffrida
In questi giorni è diventato un caso
politico la decisione dei giudici del Tribunale per i minorenni
dell’Aquila che hanno disposto l’allontanamento di tre bambini dai
genitori con cui vivevano in una piccola casa in un bosco, in provincia
di Chieti, in Abruzzo.
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Il punto di partenza
Per
capire come si sia arrivati alla decisione dei giudici del Tribunale
per i minorenni, occorre ricostruire l’origine dell’intervento
giudiziario. Contrariamente a quanto sostenuto in molte ricostruzioni
circolate negli scorsi giorni, il procedimento non nasce da un controllo
sull’istruzione parentale.
Tutto è partito da un episodio
sanitario. A fine settembre 2024 la famiglia si è presentata al pronto
soccorso per un’intossicazione da funghi raccolti nei boschi, un fatto
che all’epoca aveva avuto
rilievo sulla stampa locale. È questo accesso ospedaliero che ha
attivato la prima segnalazione ai servizi sociali, secondo un meccanismo
previsto dalla legge e applicato in tutti i casi di possibile pericolo
per i minori.
Quando un bambino arriva in ospedale per una possibile ingestione di sostanze tossiche, infatti, il personale sanitario deve verificare se la situazione possa configurare un reato perseguibile d’ufficio. Il codice penale impone in tal caso la segnalazione alla Procura della Repubblica, e se durante la visita emergono indizi di abbandono, incuria o altre condizioni di rischio, i medici devono informare il procuratore presso il Tribunale per i minorenni.
Quando un bambino arriva in ospedale per una possibile ingestione di sostanze tossiche, infatti, il personale sanitario deve verificare se la situazione possa configurare un reato perseguibile d’ufficio. Il codice penale impone in tal caso la segnalazione alla Procura della Repubblica, e se durante la visita emergono indizi di abbandono, incuria o altre condizioni di rischio, i medici devono informare il procuratore presso il Tribunale per i minorenni.
Questa segnalazione – come ricorda l’ordinanza – non è una scelta discrezionale ma un obbligo giuridico,
e la mancata comunicazione può comportare responsabilità penale.
Diverse sentenze hanno chiarito che la segnalazione va fatta anche in
presenza di un semplice dubbio, perché spetta poi all’autorità
giudiziaria valutare se vi sia stato un illecito.
Dunque, la fase cautelare del procedimento è iniziata a partire da questa segnalazione. Il Tribunale per i minorenni non è intervenuto con un allontanamento immediato ma ha adottato un percorso graduale.
Dunque, la fase cautelare del procedimento è iniziata a partire da questa segnalazione. Il Tribunale per i minorenni non è intervenuto con un allontanamento immediato ma ha adottato un percorso graduale.
Il 23 aprile 2025 è stato emesso un
primo decreto provvisorio, poi confermato con un’ordinanza un mese dopo,
il 22 maggio. L’obiettivo in questa fase era capire se la situazione
familiare potesse essere recuperata e messa in sicurezza. Per questo i
giudici hanno disposto una misura intermedia: i bambini sono stati
affidati formalmente ai servizi sociali, che hanno assunto la
responsabilità delle decisioni su collocamento e cure sanitarie, pur
lasciando i minori nella loro casa. Gli operatori avevano il compito di
monitorare quotidianamente la situazione, concentrandosi sulla stabilità
dell’alloggio e sui controlli medici da eseguire dopo l’intossicazione.
La rottura
È
tra la primavera e l’autunno di quest’anno che il percorso di sostegno
avviato dal Tribunale per i minorenni si è incrinato. Dopo l’udienza di
maggio, i genitori avevano dichiarato piena collaborazione e annunciato
di aver individuato una nuova abitazione. Ma la relazione dei servizi
sociali del 14 ottobre racconta che le visite sono state interrotte, gli
accessi impediti, gli operatori sono stati tenuti a distanza e
impossibilitati a verificare le condizioni dei bambini.
L’intervento, nato come misura di supporto, è così divenuto un’azione di protezione forzata. Per i giudici l’ostruzionismo costante dei genitori ha rivelato una difficoltà, se non una vera incapacità, di riconoscere i bisogni dei minori come prioritari rispetto alle loro convinzioni.
L’intervento, nato come misura di supporto, è così divenuto un’azione di protezione forzata. Per i giudici l’ostruzionismo costante dei genitori ha rivelato una difficoltà, se non una vera incapacità, di riconoscere i bisogni dei minori come prioritari rispetto alle loro convinzioni.
In questo contesto assume rilievo
l’udienza del 28 ottobre, in cui i bambini sono stati ascoltati con la
madre presente perché non parlano bene l’italiano. L’ordinanza considera
questa circostanza un ulteriore indizio del loro isolamento: nati e
cresciuti in Italia, i figli della coppia faticano a interagire con
chiunque al di fuori della famiglia. E la presenza della madre non ha
consentito di garantire libertà e spontaneità nelle dichiarazioni dei
bambini.
Secondo i giudici, questo elemento va a rafforzare il quadro di vulnerabilità dei figli, che ha poi condotto al loro allontanamento dai genitori.
Secondo i giudici, questo elemento va a rafforzare il quadro di vulnerabilità dei figli, che ha poi condotto al loro allontanamento dai genitori.
Le condizioni dell’abitazione
Tra
gli aspetti centrali della decisione del Tribunale per i minorenni vi
sono anche le condizioni abitative in cui viveva la famiglia. Quanto al
loro sostentamento, il 1° novembre in un’intervista con il quotidiano Il Centro la madre ha raccontato: «Aiuto online le persone a vivere meglio, le seguo a livello spirituale. Ricevo donazioni».
L’ordinanza riprende la relazione dei servizi sociali che descrive l’immobile come un «rudere fatiscente e privo di utenze», con «una piccola roulotte» all’esterno e una situazione «disagevole e insalubre». La perizia di parte, depositata dai genitori, non smentisce questi elementi. Anzi, secondo i giudici conferma «l’assoluta assenza di impianti elettrico e idrico/sanitario e la carenza di rifinitura e infissi».
L’ordinanza riprende la relazione dei servizi sociali che descrive l’immobile come un «rudere fatiscente e privo di utenze», con «una piccola roulotte» all’esterno e una situazione «disagevole e insalubre». La perizia di parte, depositata dai genitori, non smentisce questi elementi. Anzi, secondo i giudici conferma «l’assoluta assenza di impianti elettrico e idrico/sanitario e la carenza di rifinitura e infissi».
L’assenza di acqua corrente e delle utenze è stata confermata il 22 novembre dal padre dei bambini, in un’intervista con la Repubblica. «Le tubature portano in casa le microplastiche, è necessario staccarsi dalla rete. E poi non volevo pagare la bolletta», ha spiegato Trevallion. Il padre ha chiarito che l’acqua per vivere viene prelevata da un «pozzo» e che lui stesso non fa mai un bagno completo. «Uso una spugna bagnata», ha detto. Il bagno della famiglia, con un water a secco, si trova all’esterno dell’abitazione, in una struttura separata e priva di impianti.
L’ordinanza del Tribunale richiama i requisiti previsti dal Testo unico dell’edilizia per l’agibilità di un edificio, sottolineando che la casa non possiede nessuno degli elementi richiesti: tra questi, la sicurezza statica, gli impianti a norma, e la salubrità degli ambienti, «con particolare riguardo all’umidità», che può portare allo sviluppo di patologie polmonari. In più, il rischio strutturale è particolarmente rilevante in una zona sismica come l’Abruzzo, cui si aggiungono problemi di potenziali incendi legati a fonti di calore improvvisate.
L’ordinanza
spiega che, senza questi requisiti, la legge considera automaticamente
che esista un «pericolo di pregiudizio per l’incolumità e l’integrità
fisica dei minori».
Gli accertamenti negati
Accanto all’aspetto abitativo, l’ordinanza dedica ampio spazio al profilo sanitario.
La pediatra che seguiva i bambini aveva
evidenziato la necessità di visite neuropsichiatriche infantili ed esami
del sangue per valutare il loro stato vaccinale, alla luce della
«storia clinica e familiare». Il Tribunale per i minorenni sottolinea
che non si trattava di controlli arbitrari, ma di prestazioni ritenute
necessarie dai medici.
In questo contesto emerge un passaggio decisivo: i genitori avrebbero subordinato il proprio consenso agli esami al pagamento di «50.000 euro per ogni minore». Per i giudici questo comportamento mostra un’incapacità di riconoscere il benessere dei figli come interesse primario e trasforma i minori in una leva negoziale.
In questo contesto emerge un passaggio decisivo: i genitori avrebbero subordinato il proprio consenso agli esami al pagamento di «50.000 euro per ogni minore». Per i giudici questo comportamento mostra un’incapacità di riconoscere il benessere dei figli come interesse primario e trasforma i minori in una leva negoziale.
Da qui la conclusione secondo cui
affidare ai servizi sociali il potere di autorizzare gli atti sanitari
non sarebbe stato sufficiente a garantirne l’effettiva esecuzione.
Il tema dell’isolamento
Il
provvedimento affronta poi il profilo educativo e psicologico,
chiarendo che non è l’istruzione parentale a essere posta in
discussione, bensì l’assenza di qualunque forma di socializzazione. In
Italia è possibile studiare a casa (pratica che si chiama homeschooling),
ma solo rispettando alcuni requisiti formali e dimostrando ogni anno
che i bambini hanno raggiunto determinati livelli di apprendimento.
I giudici sottolineano che i genitori non hanno depositato la documentazione prevista per l’homeschooling
e che il certificato della scuola privata presentato per la figlia
maggiore non risulta notificato alla dirigente scolastica competente. Ma
gli stessi giudici precisano che «l’ordinanza cautelare non è fondata
sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma sul
pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione», sancito
dall’articolo 2 della Costituzione. In base a questo articolo, la
Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale».
Secondo i giudici, gli studi in psicologia insistono sulla necessità del confronto tra pari come elemento centrale dello sviluppo dei minori: la socializzazione non è un aspetto accessorio, ma un contesto che permette ai bambini di sviluppare competenze socio-emotive, autonomia e capacità di gestire i conflitti. L’isolamento totale può generare difficoltà di apprendimento, bassa autostima, scarsa capacità di regolare le emozioni e, in prospettiva, una maggiore vulnerabilità alla pressione del gruppo.
Secondo i giudici, gli studi in psicologia insistono sulla necessità del confronto tra pari come elemento centrale dello sviluppo dei minori: la socializzazione non è un aspetto accessorio, ma un contesto che permette ai bambini di sviluppare competenze socio-emotive, autonomia e capacità di gestire i conflitti. L’isolamento totale può generare difficoltà di apprendimento, bassa autostima, scarsa capacità di regolare le emozioni e, in prospettiva, una maggiore vulnerabilità alla pressione del gruppo.
L’ordinanza parla poi di un possibile «senso di sé poco definito» e di una maggiore «influenzabilità» durante l’adolescenza. La scuola e i compagni invece rappresentano un «contesto fondamentale di socializzazione e di sviluppo cognitivo/emotivo» – scrivono i giudici – capace di generare competenze che non possono nascere nel solo rapporto genitore-figlio.
Nell’intervista con Il Centro, la madre ha respinto l’accusa di costringere i figli a una vita alienata: «Non siamo isolati. Una volta a settimana, per esempio, andiamo a fare la spesa a San Salvo [un piccolo comune abruzzese, ndr]. E i nostri figli vanno al parco, conoscono il mondo e altri bambini».
I minori in televisione
L’ultimo aspetto analizzato dai giudici riguarda l’esposizione mediatica dei bambini.
L’ordinanza documenta la partecipazione dei tre minori alla trasmissione televisiva Le Iene, avvenuta l’11 novembre 2025, durante la quale sono state diffuse informazioni e immagini sulla loro vita familiare. Questo episodio è stato segnalato come una violazione della privacy dei bambini, sulla base delle norme nazionali e internazionali che vietano la divulgazione di dati idonei a identificare i minori nei procedimenti giudiziari.
L’ordinanza documenta la partecipazione dei tre minori alla trasmissione televisiva Le Iene, avvenuta l’11 novembre 2025, durante la quale sono state diffuse informazioni e immagini sulla loro vita familiare. Questo episodio è stato segnalato come una violazione della privacy dei bambini, sulla base delle norme nazionali e internazionali che vietano la divulgazione di dati idonei a identificare i minori nei procedimenti giudiziari.
I giudici giudicano questa scelta una
forma di strumentalizzazione: secondo l’ordinanza, i genitori «hanno
mostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un
risultato processuale a essi favorevole», cercando di esercitare
pressione sull’opinione pubblica invece di muoversi nelle sedi
processuali.
Questo comportamento viene qualificato come una delle «gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli», incidendo direttamente sulla decisione finale.
Questo comportamento viene qualificato come una delle «gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli», incidendo direttamente sulla decisione finale.
La decisione dei giudici
La
conclusione dell’ordinanza segna il passaggio dalla fase cautelare a
una misura più incisiva: la sospensione della responsabilità genitoriale
e il collocamento dei bambini in una casa-famiglia. Da questo momento
la coppia non ha più titolo per decidere dove vivono i figli, quali cure
ricevono o quale percorso educativo seguono. La rappresentanza legale
passa a un tutore nominato dal giudice, mentre l’esecuzione materiale
delle misure e la gestione quotidiana spettano ai servizi sociali.
È importante chiarire che l’ordinanza non interrompe automaticamente i rapporti tra genitori e figli, ma stabilisce che la relazione debba essere regolata da un soggetto terzo, incaricato di definire tempi, luoghi e modalità degli incontri per garantire la tutela dei minori e prevenire rischi di sottrazione.
È importante chiarire che l’ordinanza non interrompe automaticamente i rapporti tra genitori e figli, ma stabilisce che la relazione debba essere regolata da un soggetto terzo, incaricato di definire tempi, luoghi e modalità degli incontri per garantire la tutela dei minori e prevenire rischi di sottrazione.
Questa scelta risponde alla logica
complessiva del provvedimento: nelle condizioni accertate, lasciare ai
genitori la piena disponibilità dei bambini renderebbe inefficaci le
prescrizioni su salute, sicurezza e socializzazione. Il Tribunale per i
minorenni ritiene quindi necessario un controllo esterno fino a quando
non si registreranno segnali concreti di miglioramento.
Secondo i giudici, il loro provvedimento si colloca così all’incrocio tra esigenze di protezione dei minori, doveri delle istituzioni e scelte dei genitori, e ricostruisce un quadro che è più complesso delle narrazioni circolate nel dibattito pubblico.
Il provvedimento è stato trasmesso anche alle autorità consolari del Regno Unito e dell’Australia – i due Paesi di provenienza dei genitori – con l’obiettivo di verificare l’eventuale presenza di parenti in grado di affiancare o sostituire i genitori nel percorso di tutela dei minori.
Secondo i giudici, il loro provvedimento si colloca così all’incrocio tra esigenze di protezione dei minori, doveri delle istituzioni e scelte dei genitori, e ricostruisce un quadro che è più complesso delle narrazioni circolate nel dibattito pubblico.
Il provvedimento è stato trasmesso anche alle autorità consolari del Regno Unito e dell’Australia – i due Paesi di provenienza dei genitori – con l’obiettivo di verificare l’eventuale presenza di parenti in grado di affiancare o sostituire i genitori nel percorso di tutela dei minori.
I prossimi passi
L’avvocato
della famiglia ha però contestato questa ricostruzione, parlando di
«falsità» e sostenendo che il suo compito ora è riportare al più presto i
bambini con i genitori. «Il primo obiettivo è quello di far riunire la
famiglia, il secondo è quello di riportarli a casa», ha dichiarato,
aggiungendo che i due passaggi difficilmente potranno coincidere nei
tempi, ma che «a stretto giro si possa sicuramente ottenere il
ricongiungimento della famiglia» e, successivamente, con i necessari
tempi tecnici, «realizzare il bagno adiacente alla casa e farli
rientrare». L’avvocato ha aggiunto che «i provvedimenti non si
commentano ma si impugnano, per questo faremo ricorso».
Nell’intervista con la Repubblica, lo stesso padre ha confermato
che intende spostare il bagno all’interno dell’abitazione e costruire
due camere da letto, interventi che la difesa spera possano consentire
alla famiglia di tornare a vivere insieme nella casa nel bosco.
Queste dichiarazioni delineano il percorso che la difesa vuole intraprendere: un ricongiungimento iniziale in ambiente protetto e, in un secondo momento, il rientro nell’abitazione dopo gli interventi strutturali richiesti dai giudici.
Queste dichiarazioni delineano il percorso che la difesa vuole intraprendere: un ricongiungimento iniziale in ambiente protetto e, in un secondo momento, il rientro nell’abitazione dopo gli interventi strutturali richiesti dai giudici.


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