-Dal “Corriere della
Sera” del 12 marzo 2019-
Matteo Salvini è ovunque (ma poco al Viminale)
di Milena Gabanelli e Gian Antonio Stella
«Star seduti il meno possibile» e «non fidarsi dei pensieri
che non sono nati all’aria aperta». Fedele ai moniti in «Ecce homo» di
Friedrich Nietzsche, che di superuomini aveva scritto molto, Matteo Salvini va
a sedersi nel suo ufficio di ministro degli Interni meno che può. Emerge
studiando a tappeto le agenzie Ansa, i comunicati stampa, la cronaca pubblicata
dai giornali locali, le apparizioni tv e gli interventi radio, il sito «Salvini
premier», la sua pagina Facebook e i resoconti dei consigli dei ministri.
Analizzando date e luoghi: sembra proprio che dal giorno del suo insediamento
fino a fine febbraio 2019, sia stato presente al Viminale sì e no una decina di
giorni al mese (a luglio e ottobre), calando fino a cinque in dicembre. Persino
ad agosto, storicamente presidiato dal ministro dell’Interno non per un’antica
tradizione rituale tipo la cerimonia della consegna del Ventaglio a
Montecitorio, ma perché lo Stato vuole affermare la sua presenza sul territorio
anche quando gli italiani sono in ferie, l’instancabile Matteo risulta essere
stato sul ponte di comando non più di cinque giorni.
Presenze in Parlamento: 1,73%
Quanto al parlamento, il sito openpolis.it, che compie un
meritorio monitoraggio quotidiano sull’attività di deputati e senatori, dice che
ci va ancor meno. Alla voce Salvini Matteo, le presenze alle votazioni in aula
(57 su 3286) sono ridotte all’1,73%.
Produttività? In 9 mesi di governo ha promosso come primo
firmatario 2 leggi (il Decreto Sicurezza e la cessione unità navali alla
Libia), ha risposto a 4 question time, fatto una comunicazione al Parlamento ed
è intervenuto in tre commissioni. E il resto? Uno sproposito di missioni:
97,75%.
Sempre in missione: dove?
In missione per conto dello Stato, come nel caso della sua
corsa a Genova dopo il crollo del ponte Morandi o a Foggia per la morte di 16
braccianti agricoli stranieri in due incidenti stradali nel giro di due giorni.
In missione per conto sia dello Stato sia del personale diletto, come al
Festival del Cinema di Venezia con l’allora «First Sciura» Elisa Isoardi o in
occasione del viaggio del 16 luglio a Mosca dove, già che era lì per colloqui
con il ministro degli interni russo Vladimir Kolokoltsev, ne approfittò per
vedersi la finale della Coppa del mondo in programma (coincidenza!) la sera
prima. ll tutto senza l’invito Fifa. In missione per conto sia dello Stato sia
delle battaglie di partito alla fiera internazionale delle armi in Qatar, dove
postò orgoglioso una foto mentre imbraccia una mitraglietta.
Le assenze che pesano
Proprio la scelta di apparire dappertutto, tuttavia, fa
notare di più alcune assenze «di competenza», diciamo così, del ministro
dell’Interno. Come a Casteldaccia quando un’intera famiglia di nove persone fu
spazzata via dall’esondazione del Milicia. O nel Pollino dopo la strage di
dieci escursionisti travolti da una piena. O a Novate Milanese e Quarto Oggiaro
dopo gli ennesimi roghi di «capannoni tossici» in Lombardia. O ancora a Catania
nei giorni roventi della nave Diciotti. Per non dire della scelta di disertare
vari incontri dei ministri degli interni europei sui temi dell’immigrazione che
gli stanno più a cuore.
Voli di Stato per visite private: un vizio antico
Tornando al carosello di viaggi, sia chiaro: quella di
mischiare un impegno pubblico e uno di partito o privato è un’abitudine antica.
Si pensi a Bettino Craxi che anni fa, tornando da Pechino con una foltissima
delegazione fece fermare l’aereo in India per visitare il fratello ospite del
santone Sai Baba. O ai voliblu che negli anni d’oro arrivarono a volare per 37
ore al giorno. Ed è un andazzo non solo nostrano. Lo ricordano dodici anni fa
le polemiche in Turchia su Recep Tayyip Erdoğan reo di usare la Mercedes blu di
Stato per far campagna elettorale in Anatolia. Il punto è che da una parte c’è il
diritto del ministro dell’Interno (più esposto ai rischi) a godere di scorta,
voliblu e autoblu per viaggiare in sicurezza, dovesse pure andare a sciare, ma
dall’altra c’è l’opportunità. Per questo il leader leghista dovrebbe muoversi
il più sobriamente possibile. Come disse Giampaolo Pansa all’allora ministro
della giustizia Oliviero Diliberto: «Sei costretto a portarti la scorta anche
alle Seychelles? Vai al mare a Sabaudia». Vale per le vacanze, vale per le
campagne elettorali. E Salvini da giugno 2018 è in costante campagna
elettorale, come scrive lui stesso sul sito Salvinipremier.it.
Perché il Ministro deve presidiare il Viminale
È bene ricordare che al ministro dell’Interno la legge affida
compiti delicatissimi. Da lui dipendono polizia, vigili del fuoco e prefetti,
la tutela dell’ordine pubblico, la sicurezza del Paese e il coordinamento delle
forze di polizia. Ha poteri di ordinanza in materia di protezione civile,
tutela dei diritti civili, cittadinanza, immigrazione, asilo, soccorso
pubblico, prevenzione incendi. È l’unica autorità politica che può ordinare
intercettazioni preventive, prima ancora di avere l’ok del magistrato, su
questioni di terrorismo o mafia. Questo comporta assoluta tempestività nella
firma delle autorizzazioni. Se il Ministro non c’è è un problema. E ogni
dipartimento rischia di essere una repubblica autonoma. Roberto Maroni, che fu
sia ministro degli Interni (in due legislature) sia segretario leghista, lo
spiegò due giorni dopo l’ascesa dell’«amico» Matteo al Viminale: «Fare il
Ministro dell’Interno nel modo giusto vuol dire stare in ufficio dalle 9 del
mattino alle 21 di sera». Lo ha ripetuto al Corriere martedì scorso: «per tutte
le ragioni dette io stavo fisicamente al Viminale». Lo stesso ricordano Enzo
Bianco («stavo il più possibile inchiodato lì») e l’ultimo ministro Marco
Minniti che, quando non era a trattare con le tribù libiche gli accordi che
ridussero i flussi migratori dalla Libia, era sempre in ufficio.
Chi è il vero ministro degli interni?
C’è da aggiungere che Salvini è anche vicepremier, e lo
rivendica tutti i giorni. Occupandosi di tutto o quasi, dagli esteri al
welfare, dal turismo al pecorino sardo, fino a sollevare la stizza di qualche
collega, come Giulia Grillo sui vaccini. Occuparsi dei problemi vuol dire però
approfondire, leggere i dossier, chiedere integrazioni, impadronirsi dei
diversi temi. Studiare, studiare, studiare. Con tutto il rispetto, è difficile
leggere atti, fare riunioni, coordinare settori delicati schizzando dal Palio
di Siena alla Fiera equina a Verona, dall’Autoworld (museo dell’auto a
Bruxelles) al bagno nella piscina dell’azienda agricola confiscata alla mafia,
dalla donazione del sangue a Milano alla processione di Santa Rosa a Viterbo,
ai tour elettorali infestati di appuntamenti. C’è poi da stupirsi se, travolto
da mille impegni, il ministro degli Interni non è mai riuscito ad andare in
luoghi simbolo del degrado, dello spaccio e del dolore come il bosco di
Rogoredo a Milano? Va da sé che il vero ministro degli Interni si chiama sì Matteo,
ma di cognome fa Piantedosi. Il capogabinetto che gli stessi oppositori
definiscono un fuoriclasse. Un «culo di pietra» nel senso più pieno del
termine. «L’ho scelto io!», rivendica Salvini. E ieri è partito per la campagna
elettorale in Basilicata.
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