Dal libro di Sergio De Nicola:
Maratea … parliamone ancora
Cara, vecchia Befana
Tra memoria
e leggenda
Andavi, al
livido bagliore di una lanterna che squarciava le tenebre dei nostri monti e
che silenziosa Ti faceva, insieme alle stelle compagnia, alla ricerca di legna
che, all’alba, raccolta in fascine, vendevi in paese. Raccontavi a me bambino,
le fantastiche voci della notte che per te non avevano più misteri, essendo
diventati, dopo anni di condivisione, parte integrante del Tuo vivere e della
Tua conoscenza.
E io Ti ascoltavo, ammaliato dal Tuo
semplice dire che mi portava con l’immaginazione al fantastico mondo dei maghi,
streghe, fate e folletti, mentre, con la Tua mano di vecchietta, quasi novantenne, stringevi la mia e io
fissavo il Tuo volto asciutto e rugoso, il Tuo mento sporgente, i Tuoi occhi
senza tempo.
Mi ricordo
di Te, zia Vincenza (Zà Vicenza) perché in una
lontana Epifania di oltre quaranta anni fa, varcasti la soglia di casa
portandomi i doni, che nella veste di Befana,
mi dicesti, avevi scelto per me.
Curva sotto
il peso degli anni e di una fatica aspra e per nulla gratificante, vestita con
l’antico abbigliamento della tradizione, somigliavi davvero tanto alla Befana
che, tante volte, mi avevano descritto e che avevo religiosamente fissato sui
libri di lettura dell’asilo e delle elementari.
Come me
tanti bambini aspettavano il miracolo della mitica vecchietta che per lo più si
materializzava in quelle piccole, care, utili semplici
cose, magari condite con un po’ di cenere e carbone, che riempivano la
tradizionale calzetta appesa nei pressi del letto e che perciò, al mattino,
faceva orgogliosa mostra di sé.
Che la notte
dell’Epifania, oltre al suo significato religioso, racchiudesse qualche cosa di
fantastico, per non dire esoterico, lo dimostrano le numerose leggende diffuse
un po’ in tutta Italia.
Eccola,
dunque, nel cuore della notte la mitica vecchietta, con i capelli bianchi
annodati a lunghe ciocche dietro al nuca, passare di
tetto in tetto, tenendo sulle spalle il fantastico fardello di doni per
riempire le calze vuote dei bambini, poste prevalentemente nei pressi della
cappa del camino dove agonizza un vecchio ceppo quasi a indicare, specialmente
nel mondo agricolo, la fine di una stagione e l’attesa, ai diradarsi dei rigori
invernali, del futuro risveglio dei campi.
Proprio in
questa nonnina, poi, molti hanno vista la
personificazione del freddo che prepara la nuova stagione e l’immagine della
natura che annualmente invecchia, muore e si rinnova.
E’ il mito
della sognata opulenza, come gratificazione al quotidiano duro lavoro quella
che, in questa occasione, sembra inconsciamente
evocare la leggenda che vuole, per brevissimo tempo, l’acqua trasformarsi in
vino, la paglia in oro, la neve in farina, i ciottoli in salsiccia e biscotti e
così via. In questa arcana notte, si dice, ancora, che
nelle stalle, nei pollai, nei cortili gli animali conversino fra loro
criticando, apprezzando e augurando ogni genere di cose ai loro padroni dai
quali, per tale motivo, nei giorni precedenti l’Epifania vengono rifocillati
con particolar e riguardo.
In alcune
comunità, infine, nella figura della Befana viene
identificata la nonna del re Erede, che volendo espiar la strage degli
Innocenti, da questi ordinata, annualmente ritorna sulla terra per portare doni
ai bambini o l’ancilla ostiaria
che nel Pretorio spinse San Pietro a rinnegare Gesù e perciò condannata ad
eterna vecchiezza.
L’Epifania,
giorno della manifestazione, istituita come festività nell’813
per ricordare i Re Magi in adorazione alla sacra grotta, in Italia, nel tempo,
dà origine al mito della Befana con grande contorno, come abbiamo visto, di
usanze e leggende. Di questi, oggi, resta ben poco: qualche calzetta
appesa al camino o il balzo che qualche bambino fa fare ai Re Magi dalla
montagna più alta del presepio fino alla grotta della Natività. Resisti solo
tu, forse solo come simbolo, cara Befana, sostenuta dalle leggi del mercato,
ma, ormai per lo più spogliata del fascino e della poesia di un tempo.
Oggi, anche
se adulto, ma desideroso ancora di sognare, voglio
ricordarti, cara Befana, con la stessa ansia di un tempo, facendomi magari
stringere nuovamente la mano dalla vecchia zia Vincenza, della quale ho invano
cercato i precisi dati anagrafici, ma che molti ricordano in modo indefinito e
immateriale: forse è giusto che sia così, cara vecchia, ma reale Befana di
tanti anni fa.
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