-Da "INFOSANNIO"-
Riposi in pace, amen
Complice il film Hammamet
di Gianni Amelio, è ripartita la rumba per la beatificazione del fu
Bettino Craxi. Che poi, in realtà, è l’ennesimo, disperato tentativo dei
politici ladri purtroppo viventi di autosantificarsi. Da vent’anni le
provano tutte per cancellare le sentenze che lo issavano sul trono di Re
di Tangentopoli (breve promemoria a pag. 4-5). Ora, fallita
l’Operazione Amnesia, si contentano di farci credere che sì, magari
Craxi rubacchiava, ma fu comunque un grande politico moderno, uno
statista europeo, un padre del riformismo e un leader innovatore. Ora,
anche volendo giudicare l’ex segretario del Psi ed ex premier al netto
delle mazzette (50 miliardi di lire scovati nel ’93 da Mani Pulite sui
suoi conti svizzeri, per tacere degli altri rimasti intatti in giro per
il mondo), quello che emerge è un concentrato dei vizi e dei malvezzi
della peggior politica, corresponsabile primario dei disastri che la
Prima Repubblica ci ha lasciato in eredità.
Durante i quattro anni del suo governo (1983-87) il debito pubblico
passò da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto
debito-Pil dal 70 al 92%, di pari passo con l’impazzimento della spesa
pubblica e dell’abusivismo selvaggio (anche grazie al suo mega-condono
edilizio). Per il resto, il “riformismo” craxiano è una lunga galleria
di orrori. In politica interna: la trattativa con le Br per liberare
Moro contro la fermezza del fronte Dc-Pci-Pri; l’opposizione a ogni
risanamento dei carrozzoni delle Partecipazioni statali, gestiti dai
boiardi craxiani (Di Donna, Bitetto, Cagliari, Necci…) come vacche da
mungere a spese dello Stato con passivi miliardari; la feroce
lottizzazione della Rai, l’attacco ai giornalisti e persino ai comici
scomodi (da Alberto Cavallari a Beppe Grillo) e, sotto la presidenza di
Enrico Manca, la pax televisiva con la Fininvest; i due decreti ad
personam del 1985-’86 per neutralizzare le ordinanze dei pretori che
pretendevano di far rispettare la legge all’amico Silvio e, nel ’90, la
legge Mammì, monumento al monopolio della tv privata; l’ostilità alle
poche privatizzazioni giuste e necessarie (come quella della Sme, che
produceva panettoni di Stato con voragini nei conti pubblici, tentata
dall’Iri di Prodi nel 1985; e quella dell’Alfa Romeo, che Prodi nell’86
voleva vendere alla Ford, mentre Craxi preferì regalarla alla Fiat);
l’assalto alla Mondadori tramite l’apposito B., col contorno di tangenti
ai giudici; l’ingaggio come consulente giuridico del giudice corrotto
Renato Squillante, che garantiva i socialisti da indagini e arresti.
E , in compenso, i primi attacchi politici ai migliori magistrati e i
progetti piduisti per assoggettare le procure al governo. Il referendum
del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati per intimidire
quelli che già allora stavano scoprendo le mazzette craxiane. Il
proibizionismo sul consumo delle droghe leggere, che portò all’assurda
legge Vassalli-Iervolino. Le prime picconate alla Costituzione in nome
di una “Grande Riforma” cesarista, affidata al fido Giuliano Amato e poi
ripresa anni dopo da Berlusconi. La gestione satrapica del partito, con
congressi plebiscitari e antidemocratici (quando Norberto Bobbio, nel
1984, denunciò la “democrazia dell’applauso” dopo la rielezione per
acclamazione di Craxi al congresso di Verona, questi lo zittì
sprezzante: “Quel filosofo ha perso il senno”). Il nepotismo sfrenato,
che lo portò a piazzare il giovane figlio Bobo al vertice del Psi
milanese e il cognato Paolo Pillitteri a sindaco di Milano. La
repressione di ogni dissenso interno, culminata nella cacciata di
Codignola, Bassanini, Enriques Agnoletti, Leon, Veltri e altri, bollati
nell’81 come “piccoli trafficanti della politica” e accusati di
intelligenza col nemico (il Pci di Berlinguer) per aver osato sollevare
la questione morale sullo scandalo Ambrosiano. Le porte spalancate a
“nani e ballerine” dell’assemblea socialista. Le candidature in
Parlamento di statisti del calibro di Gerry Scotti e Massimo Boldi. E,
tutto intorno al Capo, preclari figuri da museo Lombroso come Larini,
Mach di Palmstein, Tradati, Troielli, Raggio, Giallombardo, Parretti,
Fiorini, Chiesa &C.. Senza dimenticare i traffici con Gelli e Calvi e
i rapporti persino con l’entourage di Epaminonda. Tutti personaggi
piuttosto lontani dalla tradizione “riformista”, tant’è che nella
“Milano da bere” si diceva che il Psi era passato “da Turati a
Turatello”.
In politica estera, si ricorda sempre Sigonella, dove nel 1985 Craxi
si sarebbe opposto intrepido alla tracotanza di Reagan. In realtà
sottrasse al blitz Usa i terroristi palestinesi che avevano appena
sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico,
Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli
processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un
aereo dei servizi segreti recapitandolo prima nella Jugoslavia di Tito e
poi in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein. Fu l’acme di una
politica filoaraba e levantina che portò all’appoggio acritico all’Olp
di Arafat (ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi
addirittura a Mazzini in pieno Parlamento. Quanto all’europeismo
craxiano, basta ricordare l’appoggio dato a regimi sanguinari e corrotti
come quelli del tagliagole somalo Siad Barre in cambio di leggendarie
ruberie sulla “cooperazione”. E il capolavoro della guerra delle
Falkland, nel 1982, quando Bettino si schierò col regime dei generali
argentini (quelli che avevano fatto sparire migliaia di oppositori)
contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto l’Occidente. Ecco quel che
resta, al netto delle mazzette, di Craxi.
Lasciatelo riposare in pace,
ché è meglio.
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