giovedì 2 settembre 2021

A CENTO ANNI DALLA MORTE DI NAPOLEONE COLAJANNI

 

Castrogiovanni (oggi Enna), 27 aprile 1847 - Enna, 2 settembre 1921

 

Napoleone Colajanni medico del Sud contro Crispi e Giolitti

a cento anni dalla morte

 

Valerio Mignone* Pubblicato su La Nuova del Sud il 2 settembre 2021

 

 

Oggi, 2 novembre 2021, si compie il primo centenario della morte di Napoleone Colajanni. Nato nell’aprile 1847 a Castrogiovanni - oggi Enna – cominciò gli studi di medicina all’Università di Genova, e li concluse all’Università di Napoli nel 1871. Dopo un viaggio nell’America del Sud, nel 1872, iniziò ad esercitare la professione medica a Castrogiovanni, e contemporaneamente svolgeva un’attività giornalistica ispirata all’ideale mazziniano, repubblicano e socialista, pubblicando in molte riviste tali orientamenti. Ebbe contatti con Filippo Turati e con Camillo Prampolini, che ne ammiravano i pregi di pensatore.

In quei tempi, sulla scia della filosofia positivista di Cesare Lombroso, e della sua scuola con Alfredo Niceforo - nato a Castiglione siciliano! - Enrico Ferri, nato a Castiglione Po, ed altri, si discuteva su un antimeridionalismo razzista, secondo il quale gli abitanti del Sud erano biologicamente inferiori, corrotti, improduttivi, e statalisti; e come tali, erano un ostacolo allo sviluppo del nord. Questa teoria venne considerata priva di carattere scientifico. Ed il Colajanni, contrario alle teorie lombrosiane sulla genesi razziale della delinquenza, attribuì questa alla povertà, ed al profondo disagio sociale diffuso nel Mezzogiorno d’Italia. Respingeva le accuse di barbarie rivolte alle plebi del Mezzogiorno, contrapposte al “civile” proletariato milanese nel corso degli scioperi operai dell’ottobre 1907, e tendeva a rendere palese il malcostume del ceto politico nazionale, come avvenne per lo scandalo della Banca Romana.

Questo Istituto, fondato nel 1825, gestiva ingenti somme di denaro nello Stato Pontificio, con emissione e stampa di banconote, analogamente ad altre banche, tra cui il Banco di Napoli, con il limite di non superare il triplo del capitale sociale della Banca. Ma la Banca Romana non rispettava tale limite, per poter finanziare una speculazione edilizia in Roma, e pagare tangenti a politici dell’Amministrazione romana, e ad organi di stampa per comprarne il silenzio. Tra questi giornali era il quotidiano La Riforma, edito da Francesco Crispi, all’epoca Presidente del Consiglio. Seguirono dimissioni di Crispi, cui subentrò Giovanni Giolitti, costretto anch’egli alle dimissioni. Ci furono arresti, e morti misteriose. Istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta, durante l’udienza alla Camera dei Deputati del 20 dicembre 1892, Colajanni denunciò pubblicamente lo scandalo della Banca Romana.

Ed ancora, nel 1900, Colajanni pubblicò il saggio “Nel Regno della Mafia”, in cui ribadiva che i Siciliani avrebbero sconfitto questa criminalità soltanto con l’acquisizione del potere di punire i prepotenti con “la Giustizia giusta”.

Anticolonialista, fu contrario all’impresa in Libia del 1911, e di Tripoli del 1912, sollecitando il Governo ad impiegare risorse nel Mezzogiorno d’Italia, anziché in Africa. Estimatore ed amico di Francesco Saverio Nitti, ne riportava in Parlamento gli studi ed il pensiero, che condivideva. Anche Colajanni era convinto che sussisteva una sperequazione fiscale a danno del Sud, e “che al Nord più che al Sud si son profuse le spese dello Stato; esso ha avuto più strade, più porti, più scuole, più Università…, più magistrati, più pensionati, più militari”…Dunque per l’unità si volle il liberismo, e il liberismo produsse questo: che tutte le industrie bambine del Mezzogiorno non poterono resistere alla concorrenza delle industrie più sviluppate del Settentrione…si era fatto fino a quel momento della politica doganale a danno del Mezzogiorno e che incominciava per lo Stato il dovere di fare qualche  cosa per l’agricoltura delle provincie meridionali…”. Fallì il piano per trasformare il Sud agricolo in Sud industriale, essendo inadeguato il piano per i trasporti e per le infrastrutture, dalle strade agli acquedotti.

In realtà, la monarchia favorì la sopravvivenza del feudalesimo. Tra il 1848 ed il 1860 diventò protagonista la borghesia, non nata dal traffico e dall’industria, ma da tre funzioni, che la rendevano ugualmente odiosa al popolo: l’intermediarismo agrario, il piccolo commercio del denaro, le professioni liberali e soprattutto l’avvocatura, che Colletta chiamò “peste del reame di Napoli”.

La borghesia prese il posto della nobiltà, e né sotto i re francesi, né dopo intese curò il popolo minuto, che così non si trovò mai amico. Le terre tolte ai feudi e ai demani la borghesia non le fece “rimanere nelle mani degli agricoltori, a cui il re Giuseppe Bonaparte aveva voluto compartirle”.       

Al Colajanni, oppositore delle teorie razziste, morto settantaquattrenne, il 2 settembre 1921, cento anni orsono, la Storia ha risparmiato di vedere la crudeltà del nazifascismo, che in Europa avrebbe attivato l’Olocausto, il razzismo contro gli ebrei, con persecuzioni, deportazioni in campi di concentramento, uccisioni con morte lenta nei forni crematori. Ed oggi, il Colajanni, politico illuminato già nel secolo scorso, soffrirebbe ancora di più nel leggere i ritardi culturali di una fazione che, in una prevalente politica di integrazione europea, tende ad emarginare il Sud.  

 

Maratea 1 settembre 2021                                                                    *Medico

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