Riforma sanitaria sia! Ma con medico di famiglia!
Valerio Mignone* Pubblicato su La Nuova del Sud il 10 agosto 2021
Occorre interrompere il silenzio sulla riorganizzazione sanitaria programmata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) varato dal Governo, e pubblicato dall’Agenzia Nazionale per i sistemi sanitari regionali (Agenas), per evitare che il nuovo modello della Sanità pubblica porti alla spersonalizzazione.
Come è noto, negli anni ’60-’70 del ‘900, in Italia c’era un arcipelago di “casse mutue”, come INAM, INPDAP che garantivano assistenza sanitaria ai propri iscritti, o rimborsi per spese sanitarie affrontate. Ed i medici, a loro volta, dovevano avere sulla scrivania i relativi ricettari. Alcune aziende, come l’Ospedale Maggiore di Milano e la casa farmaceutica “Carlo Erba”, avevano casse mutue interne per i dipendenti. E per l’assistenza ai “poveri” dei vari Comuni c’erano le “Condotte mediche”.
Nel 1978 giunse la Legge n. 833 che semplificava il Servizio Sanitario Nazionale, e riconosceva il diritto alla salute ad ogni cittadino, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana. D’altronde, già dal 1968 cambiava il mondo, in senso antropologico, e non solo. Sul piano politico si superavano alcuni dogmi sociali. Evolveva la digitalizzazione con i primi Fascicoli sanitari elettronici, e con la Telemedicina. Il pianeta terra si surriscaldava, si scioglievano i ghiacciai, nei Paesi poveri le malattie infettive erano endemiche.
La pandemia da Covid-19 è stata occasione per verificare la efficienza e funzionalità dei Sistemi sanitari a livello globale. Limitando l’analisi all’Italia, si può affermare che, dopo la fase iniziale, con i decessi e la invasione delle terapie intensive, la organizzazione ospedaliera ha retto, come in tutti i Paesi avanzati, quando il Governo centrale ha recuperato, ed ha esercitato, in gran parte la competenza del Sistema Sanitario Nazionale.
Oggi, pur essendo numerosi i contagiati, c’è una scarsa pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive, sia per gli effetti benefici delle estese vaccinazioni, sia per la limitata morbosità della variante Delta del Covid-19. E tuttavia, è opportuno ancora mantenere distanziamento, mascherine, e igiene in senso lato.
Purtroppo, intellettuali mettono in dubbio la efficacia delle vaccinazioni, e la utilità del relativo certificato, quale é il Green pass, giustamente obbligatorio per alcune categorie lavorative, a garanzia della salute pubblica. Non sono condivisibili le loro argomentazioni, secondo cui il Green pass obbligatorio sarebbe un segnale della “crisi” della “idea di rappresentanza”, e costituirebbe un pericolo per la democrazia in Italia! E’ il caso di affermare che é in crisi il mondo di quegli intellettuali, che non accettano le “evidenze scientifiche”; ed è in crisi la rappresentanza politica che ne riconosce la credibilità! Fortunatamente, questa “frazione” di intellettuali è largamente minoritaria; nella realtà prevale la scienza che annulla le Fake news, e prevale la politica che sostiene le competenze istituzionali e le indicazioni sociosanitarie.
La bozza del suddetto Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) varato dal Governo, prevede, tra l’altro, l’Ospedale della Comunità con funzioni e cure intermedie tra Territorio e Ospedale. Ce ne sarà uno ogni 115 Km quadrati per persone “che non hanno necessità di essere ricoverate in reparti specialistici ma necessitano di un’assistenza sanitaria che non potrebbero ricevere a domicilio”, con 171 operatori sanitari, di cui 6 medici, 99 infermieri, 66 operatori sociosanitari. Per malati cronici e gravi è prevista assistenza, e cura, a domicilio.
Viene proposta, poi, la Casa della Comunità, la cui definizione è troppo generica per poter essere riconosciuta inizialmente come un tassello del Servizio Sanitario Nazionale; si potrebbe ripristinare la vecchia sigla U.S.L., già nota per Unità Sanitaria Locale. Ma, al di là, del nome, è necessario rivederne la funzionalità.
In questa Casa della Comunità prevale il personale infermieristico ed amministrativo, mentre ogni “vecchio medico di Famiglia, o del Territorio o di base”, che dir si voglia, sarebbe addetto alla cura di tutta la popolazione territoriale, e non soltanto dei propri iscritti. Tale innovazione potrebbe spersonalizzare il rapporto medico-paziente, rendendo il medico un distaccato burocrate, e la persona malata un “anonimo numero” da curare. Tutto ciò è da evitare.
Ben venga, in un Centro sanitario polifunzionale, senza barriere architettoniche, un poliambulatorio unico per vari medici di base, come, peraltro, già si può riscontrare in alcuni Territori. Ogni medico abbia i suoi pazienti da seguire per prevenirne, e curare eventuali malattie, e seguirne la riabilitazione. Non si restringa la funzione del medico al modello di un pur rispettabile sportello di Ufficio della pubblica Amministrazione, in cui vari funzionari si alternano al servizio ben codificato, ed eseguibile con click, più o meno numerosi, su tastiere di computer.
La prestazione medica ha una sua complessità e continuità, di imprevedibile variabilità, presuppone fiducia reciproca, fino all’empatia, tra medico, paziente, familiari. Le Istituzioni ne prendano atto, almeno in questo momento storico, in cui ancora sono operativi tanti, tantissimi medici, che sono diventati tali dopo la lettura de La Cittadella, di Archibald Josepf Cronin, le cui descrizioni sono riscontrabili ancora in non pochi strati sociali. In futuro si vedrà!
*Già primario medico e Membro di Commissioni parlamentari Sanità
Maratea 11 agosto 2021
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