-Da "PILLOLE" di Gian Carlo Marchesini in www.calderano.it-
"Vivere nel luogo in cui sei nato, nella casa in cui sei nato, è una cosa rischiosa. E' come giocare in fondo al pozzo. Si nasce per uscire, per girare il mondo. Il paese ti porta alla ripetizione. In paese è facile essere infelici. I progetti di sviluppo locale devono tenere conto di questo fatto: non li possono fare da soli i rimanenti, perché in paese non c'è progetto, c'è ripetizione. In genere ognuno fa quello che ha sempre fatto, giusto o sbagliato che sia. Ci sono due abitanti tipici: il ripetente e lo scoraggiatore militante. Spesso le due figure sono congiunte, nel senso che lo scoraggiatore è per mestiere abitudinario, non cambia il passo, continua a scoraggiare, è appunto un militante. Più difficile è essere militanti della gratitudine, della letizia. E' come se la natura umana in un paese fosse più contratta, non riuscisse a diluirsi. E si rimane dentro un utero marcito.
Fatte queste premesse, come si fa a fare progetti di
sviluppo locale? La chiave è dare forza a nuove forme di residenza. Il paese
deve essere scelto, non subito. Chi arriva da lontano ha un piglio, una
disponibilità che non trovi in chi è affossato nel suo paese. Il residente a oltranza anche quando è animato da buona volontà tende a
impigliarsi nelle proprie nevrosi. Il paese tende a essere nevrotico. Il paese
non sta bene, questo è il punto. E non ha voglia di curarsi. Lo sviluppo locale
si può fare partendo da queste premesse. Allora bisogna aprire porte che non ci
sono, esercitarsi nell'impensato, essere rivoluzionari se si vuole riformare
anche pochissimo. In paese si fallisce, ma in un certo senso non si fallisce
mai perché si fallisce a oltranza. Bisogna arieggiare
il paese portando gente nuova, il paese deve essere un continuo impasto di intimità e distanza, di nativi e di residenti provvisori.
Questo produce una dinamica emotiva e anche economica. Bisogna agitare le
acque, ci vuole una comunità ruscello e non una
comunità pozzanghera. Il mondo ha bisogno di paesi, ma non come luoghi
obbligati, come prigioni per ergastolani condannati a vivere sempre nello
stesso luogo. Il paese deve essere organizzato come fosse un premio, non come
una condanna. Non si dà sviluppo locale facendo ragionamenti quantitativi,
mettendo il pensiero economico metropolitano nell'imbuto del paese. Ci vuole un
pensiero costruito sul posto, ma non solamente dagli abitanti del posto.
Un'azione di sviluppo locale allora deve essere delicata ma anche dura, deve togliere al paese i suoi alibi, i suoi equilibri
fossilizzati. E allora non si fa sviluppo locale senza conflitto. Se non si arrabbia nessuno vuol dire che stiamo facendo calligrafia,
vuol dire che stiamo stuccando la realtà, non la stiamo trasformando.
(Franco Arminio, poeta paesologo militante)
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