Mattia Santori, 32 anni, laureato in Scienze politiche, è uno
degli ideatori del movimento delle “sardine” che ha esordito a Bologna per poi
manifestarsi a Modena, Firenze, Torino, Rimini, con prossimo appuntamento in
piazza a Roma, sino a diffondersi ovunque nella nostra penisola con il
coinvolgimento di migliaia e migliaia di giovani e non solo.
Tutto è cominciato da un’idea di quattro amici, tra i quali
Mattia, insieme a Roberto Morotti, 31 anni, Ingegnere, Gabriella Trappoloni, 30
anni, Fisioterapista, e Andrea Garreffa, 30 anni, Guida turistica, allo scopo
di contrastare il Leghismo, il sovranismo e la retorica populista. Il nome
“sardine” è nato dal desiderio di stare
tutti stretti come sardine in una scatola, vicini e silenziosi come
pesci.
“Eravamo quattro amici al bar
Sognavamo di cambiare il mondo…”.
Cantava tempo fa Gino Paoli.
Sognatori o meno, i quattro amici ideatori delle “sardine”
hanno dato vita ad un opportuno, positivo e vitale movimento di contrapposizione.
"Sardine" a Bologna |
A Maratea di “sardine” nemmeno l’ombra, un po’ per la
mancanza di giovani ed un po’ per un comodo adeguarsi di quelli che ci vivono all’atavico e predominante, se non
quasi esclusivo, modello di vita tradizionale, caratterizzato da acritico
rispetto di tradizioni, usi, costumi e quant’altro venga dal passato, in un
contesto in cui pur ci sarebbe bisogno di…aria nuova. E così il paese rimane sempre quello delle 44
chiese, dei monaci basiliani, delle tante processioni, della vita tranquilla e
abitudinaria, anche dei giovani che continuano a vivere nella casa in cui sono
nati, e della costante, consolidata propensione verso un nostalgico passato e
verso chiunque in qualche modo lo rievochi.
Ma non è un problema solo di Maratea… ed, in merito, concordo
sul fatto che “bisogna essere rivoluzionari ….e bisogna arieggiare il paese”,
come può leggersi nel condivisibile contributo di Franco Arminio:
“Vivere nel luogo in cui sei nato, nella casa in cui sei
nato, è una cosa rischiosa. E' come giocare in fondo al pozzo. Si nasce per
uscire, per girare il mondo. Il paese ti porta alla ripetizione. In paese è
facile essere infelici. I progetti di sviluppo locale devono tenere conto di
questo fatto: non li possono fare da soli i rimanenti, perché in paese non c'è
progetto, c'è ripetizione. In genere ognuno fa quello che ha sempre fatto,
giusto o sbagliato che sia. Ci sono due abitanti tipici: il ripetente e lo
scoraggiatore militante. Spesso le due figure sono congiunte, nel senso che lo
scoraggiatore è per mestiere abitudinario, non cambia il passo, continua a
scoraggiare, è appunto un militante. Più difficile è essere militanti della
gratitudine, della letizia. E' come se la natura umana in un paese fosse più
contratta, non riuscisse a diluirsi. E si rimane dentro un utero marcito.
Fatte queste premesse, come si fa a fare progetti di sviluppo
locale? La chiave è dare forza a nuove forme di residenza. Il paese deve essere
scelto, non subito. Chi arriva da lontano ha un piglio, una disponibilità che
non trovi in chi è affossato nel suo paese. Il residente a oltranza anche
quando è animato da buona volontà tende a impigliarsi nelle proprie nevrosi. Il
paese tende a essere nevrotico.
Il paese non sta bene, questo è il punto. E non
ha voglia di curarsi. Lo sviluppo locale si può fare partendo da queste
premesse. Allora bisogna aprire porte che non ci sono, esercitarsi
nell'impensato, essere rivoluzionari se si vuole riformare anche pochissimo. In
paese si fallisce, ma in un certo senso non si fallisce mai perché si fallisce
a oltranza. Bisogna arieggiare il paese portando gente nuova, il paese deve
essere un continuo impasto di intimità e distanza, di nativi e di residenti
provvisori. Questo produce una dinamica emotiva e anche economica. Bisogna
agitare le acque, ci vuole una comunità ruscello e non una comunità
pozzanghera. Il mondo ha bisogno di paesi, ma non come luoghi obbligati, come
prigioni per ergastolani condannati a vivere sempre nello stesso luogo. Il
paese deve essere organizzato come fosse un premio, non come una condanna. Non
si dà sviluppo locale facendo ragionamenti quantitativi, mettendo il pensiero
economico metropolitano nell'imbuto del paese. Ci vuole un pensiero costruito
sul posto, ma non solamente dagli abitanti del posto. Un'azione di sviluppo
locale allora deve essere delicata ma anche dura, deve togliere al paese i suoi
alibi, i suoi equilibri fossilizzati. E allora non si fa sviluppo locale senza
conflitto. Se non si arrabbia nessuno vuol dire che stiamo facendo calligrafia,
vuol dire che stiamo stuccando la realtà, non la stiamo trasformando”.
(Franco Arminio, poeta paesologo militante)
Allora, forza giovani
e meno giovani di Maratea, non restiamo
fermi mentre il mondo cambia e si globalizza rapidamente !
Superiamo gli
“equilibri fossilizzati” e non
importa, anzi meglio,
se qualcuno si arrabbia…!
In tanti si arrabbiarono a Maratea quando, dopo gli studi
universitari a Napoli o a Roma, in tre nemmeno trentenni, con pochi altri,
turbammo gravemente gli equilibri locali…
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