I segni della Pasqua, in questi giorni di morte
Avviene tutto di notte, nel silenzio
della notte, nel buio della notte, nelle solitudini della notte.
Avviene mentre intorno tutto parla di
morte, quando il dolore per i progetti spezzati supera di gran lunga l’umana
necessità di dover ricominciare daccapo, quando la rassegnazione ha preso il
sopravvento e ci si chiede sconsolati dove trovare la forza per riprendere il
cammino.
Avviene
quando la nostalgia per ciò che è stato, non fa guardare avanti, e quando la
paura – degli altri e di un futuro incerto – diventa l’unica compagna di
viaggio di una vita ormai rinchiusa fra le quattro mura di casa.
Avviene quando nessuno se ne accorge,
senza manifestazioni eclatanti, senza riti solenni, senza segni straordinari. Avviene
e basta. In silenzio.
Così
avviene la Pasqua nel racconto dei vangeli.
Questo
è il Dio di Gesù di Nazareth: discreto, inedito e nascosto per tutta la sua
vita, fino alla fine. Finanche nel momento della vittoria.
Ma anche dopo. Il Risorto non dà
appuntamento in un unico solenne momento e in un luogo bardato a festa per
dimostrare a tutti che alla fine ha vinto lui, che lui aveva ragione, che il
suo Dio può tutto, e che alla fine arriva sempre a toglierci le castagne dal
fuoco. No.
Li
attende, invece, nella quotidianità: lì dove lui per primo aveva vissuto
innamorato della vita, lì dove aveva toccato la fragilità delle persone, lì
dove aveva detto che è la condivisione a renderci fratelli e non le religioni,
lì dove aveva condiviso il sogno e il progetto di un mondo altro da costruire nonostante le difficoltà, e non di un altro mondo da presentare come
anestetico alle difficoltà.
È lì che ritorna, è lì che li aspetta, è
lì che pone i segni invisibili della sua vittoria: nelle cose di tutti i giorni,
nel mondo di tutti i giorni. Per dire che l’annuncio della Pasqua, e cioè della
vita che vince sempre nonostante le evidenze tragiche della morte, è fatto per ricomporre
i cammini interrotti, per incoraggiare i passi indeboliti, per dire che ogni
ferita anche la più profonda è una feritoia attraverso cui intravedere sempre cose
nuove. E per annunciare che solo un’umanità rinnovata può permettere ogni volta
alla vita di ricominciare daccapo.
Ecco perché la Pasqua appartiene a
tutti, e non solo ai credenti.
Ecco perché ci riguarda in un tempo di
morte come questo, mescolati e impastati come siamo con le lacrime e il dolore
di tanti: per scorgere intorno a noi, intrecciati drammaticamente con queste
giornate listate a lutto – come un’unica cosa furono la croce e il sepolcro – i
segni di una vita che avanza nonostante le morti, e che si pongono come i
prodromi di un mondo nuovo che viene di continuo.
Sono
questi i segni del Risorto; da non cercare nelle chiese chiuse di questi
giorni, ma da incrociare nei volti di medici e infermieri scavati dalla fatica,
nei teneri gesti di uomini e donne delle forze dell’ordine che portano la spesa
a casa di chi è rimasto solo, nell’affanno, e talvolta nelle lacrime, di
giornalisti condannati a raccontare ciò che mai avrebbero voluto, nella
fantasia bizzarra di preti che si inventano di tutto per restare accanto alla
propria gente, nei volti spensierati e seriosi di studenti e insegnanti che si
ritrovano a fare scuola in una stanza di casa, e nella fatica coraggiosa dei
tanti anonimi che in questi giorni mai un attimo si sono fermati.
David Turoldo, frate
ribelle e innamorato della vita scriveva in una poesia: “credere a Pasqua non è giusta fede, troppo bello sei a Pasqua; fede
vera è al venerdì santo”. Oggi, ne siamo certi, avrebbe invece scritto:
“mai come quest’anno credere a Pasqua è giusta fede”.
Perché Pasqua è credere che ce la faremo, quando la morte
ancora sta bussando alle nostre porte.
Perché Pasqua avviene di notte.
don Marcello Cozzi
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