mercoledì 22 aprile 2020

LA SANITA' TRA STATO E REGIONI


Nord e Sud al tempo della pandemia
Valerio Mignone *


Da quando è esplosa la pandemia da Coronavirus impazza sulla stampa la polemica sulla Sanità tra le varie Regioni d’Italia, fino a degenerare in baruffe da pianerottolo nel corso di interviste a virologi e immunologi nei vari notiziari e talk show radiotelevisivi. 
E’ apparsa la diversità di comportamento tra i Presidenti delle varie Regioni del Nord invase dal virus, non senza cadute di stile nei riguardi del Presidente del Consiglio e del Ministro per gli Affari regionali. E in tale contesto si è manifestata anche un’aria di superiorità e saccenteria di consulenti sanitari milanesi verso primari degli ospedali di Napoli, ove nel frattempo attecchiva il Coronavirus.
A ristabilire fiducia negli ospedali di Napoli è stato un servizio di SKY news inglese, che illustrava una sorprendente funzionalità dell’Ospedale “Cotugno”, ove, da sempre, operano primari che, senza esibizionismi, riescono ad eccellere nella clinica e nella ricerca, tanto da decidere di sperimentare contro il Coronavirus un farmaco impiegato con successo per la cura dell’artrite reumatoide. 
Dopo l’improvviso e tumultuoso esodo biblico di meridionali che, terrorizzati, e ignorando ogni ordinanza, fuggirono dal Nord al Sud per trascorrere la quarantena nelle loro case d’origine, fortunatamente la malattia si è diffusa con minore invasività. A ciò ha contribuito il civismo, prima vituperato, dei meridionali, ligi, sin dal loro rientro, ad osservare quanto ordinato dalle Autorità regionali, per bloccare, o limitare i contagi e la malattia, di intesa con la Protezione civile, puntuale a trasmettere quotidianamente bollettini di informazione, anche in traduzione per sordi.
Ad oggi, in tutte le regioni italiane, la curva dell’andamento della epidemia è in calo progressivo, seppur lentamente. Rimane in attività qualche focolaio in alcune Residenze Sanitarie Assistite, anche in Basilicata.  
Proprio in Basilicata, ove si conferma la decrescita della epidemia, in questi giorni si propone la installazione di un ospedale da campo, donato all’Italia dal Quatar; ma ne è nata una controversia sul sito ove collocarlo, ipotizzandone il frazionamento per destinarne una parte a Potenza, a Matera, a Lagonegro e a Policoro. Tale controversia si potrebbe risolvere rispondendo, in via preliminare, a due quesiti: 1) che cos’è un ospedale da campo, 2) a cosa serve.
La definizione di ospedale da campo è legata spesso alla storia di eventi tristi, come guerre e terremoti; e già questo genera patemi d’animo, di cui occorre prevenire l’insorgenza. Ed ancora, pur nella sua provvisorietà, un ospedale da campo deturpa il luogo ove si installa. Da ciò, la comprensibile ostilità di alcune popolazioni. Tra l’altro, la sua gestione tecnica deve essere autonoma, non appendice esterna di un reparto di terapia intensiva di un ospedale contiguo, che, già di per sé, ha difficoltà irrisolte nel reperire personale sanitario qualificato. Il suo frazionamento, inoltre, potrebbe indebolirne la funzionalità. A conferma delle difficoltà gestionali, è utile ricordare che l’ospedale da campo costruito in due settimane presso la Fiera di Milano con tanto battage pubblicitario, è sottoutilizzato per l’attenuazione della morbosità del Coronavirus che, spesso, non rende più necessaria la rianimazione.
In definitiva, si potrebbe concludere per la non necessità di tale ospedale. In tal caso, dopo il dovuto ringraziamento al Quatar, ed essersi riservato, per ogni eventualità, il diritto alla nuda proprietà, si potrà rendere disponibile tale struttura per altre Regioni, o per le tante associazioni del volontariato lucano che, in varie occasioni, ha dimostrato generosità, impegno e passione.
Al momento, è prioritario, e urgente, fare l’analisi dei danni immani provocati dal Coronavirus in tutti i settori, e ricercarne gli strumenti per superarli.  
Sul piano economico ci sono stati grossissimi danni nella produzione agricola per i mancati interventi stagionali; e c’è stata la paralisi completa del commercio al dettaglio, dell’artigianato, della piccola e media industria. Nel settore turistico c’è stato l’annullamento di eventi, di prenotazione di viaggi e soggiorni in alberghi e Bed and Breakfast, in località di mare e di montagna. Alla ripresa del lavoro si ritroveranno rottami, distruzioni, come è avvenuto per ogni epidemia descritta nella Storia. Ma è stato giusto tutelare la salute dei lavoratori addetti a queste attività, mantenendoli in quarantena nelle loro case.
Per far fronte a tutto ciò si cominci a inserire nel lessico familiare la nuova parola “resilienza”, intendendo con essa la capacità psicologica a reagire positivamente a situazioni negative; come occorre per poter ricostruire sulle macerie da Coronavirus.
La resilienza, generalmente, è ben salda nei giovani, ma tale può non essere nei vecchi, che non vedendo più un loro futuro, tendono a rifugiarsi nella Nostalgia, come ricordo dolente, o rimpianto di un passato piacevole. E proprio per questo, tanti anziani, consapevoli della debolezza legata alla loro età, pur con maggiore vulnerabilità, si tengono per mano in varie associazioni; per non richiamare in loro aiuto i giovani, distraendoli da lavori più impegnativi.
Le Istituzioni, nell’era moderna, si sono interessati alle condizioni degli anziani, e nel Settecento, nelle grandi città, si sono costruite residenze ad essi destinati. Il Real Albergo dei Poveri, voluto nel 1751, a Napoli, da Carlo III dei Borboni su progetto dell’architetto Ferdinando Fuga, doveva ospitare vecchi, poveri, mutilati di guerra, disabili. E pur essendo, per superficie, uno dei più grandi edifici d’Europa, purtroppo, rimane inutilizzato per la originaria destinazione.
Alcuni anni dopo, nel 1766, a Milano, per disposizioni testamentarie del principe Gallio Trivulzio, fu avviata la costruzione del Pio albergo Trivulzio per anziani meno abbienti. Questa nobiltà di intenti venne schiaffeggiata nel 1992, quando, nel corso della inchiesta giudiziaria denominata Tangentopoli, si scopri la corruzione del presidente dell’Istituto.  
Oggi, con la inchiesta sul trasferimento dei contagiati Coronavirus in questo stesso Pio Albergo Trivulzio, sta emergendo la confusione nella gestione della Sanità in Lombardia. E chi scrive, formatosi tra la Clinica medica del Policlinico di Via Francesco Sforza e la Cà granda, tra gli anni ’60 e ’70, associandosi a chi condanna l’attuale decadenza della Medicina a Milano, invoca l’intervento dello Stato per recuperare le sue competenze nella gestione della sanità pubblica, sottraendo, tra l’altro, la nomina di dirigenti e primari alle competenze di ras politici locali. Ciò, anche per prevenire malefatte come quelle del Chirurgo milanese che terrorizzava persone sane per convincerle a farsi resecare una parte di polmone in strutture convenzionate, e rubare soldi allo Stato, in barba al Codice penale ed al Giuramento di Ippocrate, là dove prescrive di tutelare la salute delle persone. E’ utile ricordare che il diritto alla salute è sancito dall’articolo 32 della Costituzione, e deve essere garantito in eguaglianza a tutti i cittadini. Chi vuole ricorrere alla sanità privata, nel bene e nel male, se la paghi.
In attesa di ciò, e dell’auspicata “immunità di gregge” a difesa della salute pubblica, si colga l’occasione della ricostruzione per riprogettare un nuovo Mezzogiorno, nell’interesse del Nord, dell’Italia tutta, e dell’Europa. Ma questo è un altro discorso!
*già primario medico e parlamentare
Maratea 17 aprile 2020

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