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ROCCO ROSA
Questa
politica da suk, fatta di trattative sotto il tavolo, di tradimenti,
sgambetti, cambi di casacca, ripudio della coerenza, arrivismo e
convenienza, se ancora non è giunta al capolinea si è messa sulla strada
per arrivarci. C’è un sussulto di consapevolezza da parte della gente
comune che così non si può andare avanti e che occorre riportare nella
politica serietà, qualità e valori. Il caso Renzi è esemplare nel
rendere l’idea di questo sentiment che si sta diffondendo tra
gli italiani. La spregiudicatezza nel giocare con le sorti dell’Italia
in uno dei momenti più delicati ha segnato il punto più basso della
credibilità politica, dando la sensazione di un Paese in mano ad
avventurieri e giocatori d’azzardo, tutt’altra cosa rispetto all’idea di
rappresentanza con cui gran parte degli italiani è cresciuta. Due gesti
di grande valore hanno fatto scattare il semaforo rosso contro questi
scorazzamenti nella strada del potere : la chiamata di Draghi da parte
del Presidente della Repubblica, per una sorta di commissariamento della
classe politica e di recupero del merito e della qualità nella
conduzione delle politiche di settore, e le dimissioni a sorpresa di
Zingaretti per richiamare il Pd ad un comportamento più responsabile da
parte della sua classe dirigente,tutta presa a giocarsi la
sopravvivenza personale in uno scenario che sta cambiando. Segnali, si,
ma non così deboli da non essere percepiti dalla moltitudine degli
italiani.A questo , se vogliamo, si aggiungono il licenziamento in
tronco del Commissario straordinario all’emergenza Covid, e , dal lato
della politica, la sconfessione plateale di Renzi, considerato
inaffidabile e pericoloso dagli italiani, soprattutto dopo il suo
spregiudicato omaggio ad un regime con le mani macchiate di sangue
innocente. E , last but non least, un Movimento cinque stelle che si
scrolla la patina di incompetenza, di giovanilismo , di rigidità
ideologica, diventando partito e affidandosi a una persona che ha
portato freschezza e dignità alla politica, mediando con pazienza, alle
volte usando il pugno duro, assumendo su di sé responsabilità che erano
di altri, affidandosi ai meccanismi della democrazia anche quando poteva
aggirare certi passaggi. Se gli intellettuali facessero il loro
mestiere, se la stampa uscisse da questo servile ruolo che si è
ritagliato per sopravvivere in un Paese dove la libertà di scrivere è
solo apparente, dovrebbero insieme dare segnali di aver compreso questo
sentimento nuovo che serpeggia tra il popolo e dovrebbero amplificarne
la tonalità, potenziarlo, portarlo dovunque. E poi la Chiesa, dove il
suo Capo spirituale sta lottando da solo contro il suk che è stato
chiamato a bonificare , nella comprensione dei fedeli e nell’ostilità
lucida e feroce, di una certa curia che si è beata di privilegi terreni,
confondendosi con la razza padrona . E se mettiamo insieme tutte
queste cose, forse c’è spazio non solo per chiedere agli altri il
cambiamento ma per promuovere noi stessi, come cittadini, il cambiamento
pretendendo il ripristino delle regole di democrazia, spendendo bene il
diritto di voto, fissando regole morali invalicabili, isolando gli
avventurieri e i mercanti del tempio. E se un parroco di un paese del
materano, dove in questi giorni la politica ha dato ancora un volta una
pessima prova di sé, si spinge , senza mai citare alcuno, a dire queste
cose che qui riportiamo, allora forse la speranza di una resipiscenza
morale collettiva spunta come un fiore in primavera: “Non fate della
casa del Padre mio un mercato” “Siamo
chiamati a distruggere l’idolo del nostro egoismo e gli altari
dell’ambizione sulla quale sacrifichiamo le relazioni fraterne.
L’amicizia non è un compromesso nel quale ci si spartisce il potere e
ognuno ne prende una parte. Chi ama veramente e lavora per il bene
comune deve essere disposto a perdere qualcosa di sé, a rinnegare sé
stesso e le proprie ambizioni personali. Non possono coesistere
autentico interesse al bene comune e cura dei propri interessi.
Certamente in privato, facendo il proprio lavoro, si può fare del bene
ma la cura del bene comune nella forma dell’impegno pubblico richiede la
rinuncia a coltivare l’utile particolare. Il rischio è quello di
trattare la cosa pubblica come un fatto privato, come una cosa propria,
«cosa nostra!»” (Dalla meditazione sul Vangelo di Gv 2,13-25: Distruggete questo tempio e il terzo giorno lo farò risorgere).
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