Pubblicato il 04/01/2019
N. 00102/2019REG.PROV.COLL.
N. 08170/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8170 del 2017, proposto da:
Comune di Maratea, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato Daniele Stoppelli, con domicilio
eletto presso lo studio A. Placidi S.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini
30;
contro
Studio Snat Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaele Melfi, con domicilio
eletto presso lo studio avvocato Lucia Caterina Dattoli in Roma, via
Lombardia, 30;
nei confronti
Italia Nostra Onlus, Anna Maria Maternini, Paola Perrot, Riccardo Sisinni, Alessandro Ascione, non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI, n. 4381/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Studio Snat S.a.s.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre
2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per la ricorrente,
l’avvocato Daniele Stoppelli e, per la resistente, l’avvocato Raffaele
Melfi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza del T.A.R. Basilicata, sez. I, 30
settembre 2014, n. 701 sono stati accolti i ricorsi riuniti (sub n.
232/2011 e n. 429/2013) e relativi motivi aggiunti proposti in prime
cure da Snat Studio S.a.s. aventi ad oggetto l’impugnazione dei
provvedimenti interdittivi dei lavori edilizi di ristrutturazione del
fabbricato censito in Catasto alla particella n. 245 del foglio n. 35,
sito nell’estremità occidentale del Centro Storico di Maratea in Vicolo
San Francesco dei Poverelli.
Intervento previsto nel Piano di recupero del centro
storico di Maratea (cfr. deliberazione consiliare n.169 del 7.11.1985)
ed autorizzato in forza di permesso di costruire del 18.8.2006 e di
relativo nulla osta paesaggistico.
Sia l’ordinanza n. 18 del 24.3.2011 di sospensione dei
lavori che il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R.
380/2001 – richiesto al fine di ottenere la sanatoria del muro di
sostegno, realizzato dopo la scadenza quinquennale dell’autorizzazione
paesaggistica ed in difformità dal suddetto permesso di costruire – sono
stati impugnati da SNAT Studio s.a.s. (d’ora in poi SNAT).
Con ulteriori motivi aggiunti sono stati di seguito
impugnati il provvedimento attestante la decadenza del permesso di
costruire, sul rilievo lavori non avevano avuto inizio entro il termine
ex art. 15 DPR n. 380/2001 di 1 anno, sia l’ordinanza di demolizione di
tutte le opere realizzate in esecuzione del citato permesso di costruire
e conseguente rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
Infine, con il terzo e quarto atto di motivi aggiunti
sono state dedotte ulteriori censure avverso i provvedimenti del
responsabile settore urbanistica (prot. nn. 16799 del 19.12.2012 e 8311
del 28.5.2013, atto, quest’ultimo, impugnato anche con autonomo ricorso,
sì da giustificare la disposta riunione dei gravami).
Costituitosi in giudizio il Comune di Maratea,
interventi ad opponendum i sigg. Alessandro Ascione, Paola Perrot, Anna
Maria Maternini e Riccardo Sisinni, e l’Associazione Italia Nostra
ONLUS, il Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata ha
respinto le eccezioni di rito ed accolto i ricorsi riuniti.
3. Ricostruita la vicenda storico fattuale dedotta in
giudizio, richiamata la normativa applicabile, i giudici di prime cure
sono giunti alla conclusione che:
la società è proprietaria dell’intero fabbricato in questione;
il permesso di costruire è stato regolarmente
preceduto dal parere del responsabile del settore urbanistica, non
essendo richiesto ai sensi ai sensi dell’art. 4, comma 2, DPR n.
380/2001 quello della Commissione edilizia;
il responsabile del settore urbanistica aveva
formalmente accolto l’istanza della ricorrente del 9.6.2009, volta ad
ottenere la proroga di altri 3 anni del termine di ultimazione dei
lavori, precisando espressamente che non vi erano “motivi ostativi alla
prosecuzione dei lavori” con conseguente proroga del permesso di
costruire estesa dal 18.8.2009 al 18.8.2012 e persistente efficacia
dell’autorizzazione paesaggistica;
fosse illegittimo il silenzio rigetto serbato dal
comune sull’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 del 21/23.5.2012,
tendente ad ottenere la sanatoria dell’ampliamento di circa 20 mq.
rispetto a quanto autorizzato dell’area di sedime del fabbricato, per
aver realizzato il retrostante muro di contenimento, al fine di
garantire una maggiore stabilità della sovrastante parete rocciosa;
conseguentemente, risultava infondata la dedotta
violazione dell’art. 146 D.Lg.vo n. 42/2004, in quanto il divieto del
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non si applica
alle fattispecie, indicate dall’art. 167, comma 4, D.Lg.vo n. 42/2004,
tra le quali risultano comprese le opere che non creano o aumentano le
superfici utili ed i volumi e l’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica;
dovesse essere annullato il provvedimento di decadenza
del permesso di costruire, in quanto la circostanza che i lavori non
erano iniziati entro il termine ex art. 15 d.P.R. 380/2001 di 1 anno, si
basava esclusivamente sul verbale del sopralluogo del 23.11.2009
attestante invece che i lavori erano “in corso di esecuzione” per il livellamento dei muri e ciò risultava provato anche dalla presenza nei “vani ancora esistenti” di “materiale di risulta”.
Hanno appellato la sentenza il Comune di Maratea e,
con autonomo ricorso, i sigg. Alessandro Ascione, Paola Perrot, Anna
Maria Metrnini e Riccardo Sisinni. Si è costituita in appello
l’Associazione Italia Nostra ONLUS.
Gli appelli oggettivamente e soggettivamente connessi sono stati riuniti.
Con sentenza n. 4381/2017 del 19.09.2017, il Consiglio
di Stato ha respinto gli appelli, ritenendo, per quanto d’interesse nel
presente giudizio:
“10.3 Va condiviso il capo di sentenza che ha affermato
l’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso di costruire
n. 73 del 28 giugno 2006 per mancato inizio e termine dei lavori nei
tempi stabiliti dalla normativa edilizia di riferimento.
Il provvedimento è stato emesso sulla base di un’irragionevole
interpretazione dell’art. 15 d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede un
termine massimo di un anno, decorrente dal rilascio del permesso di
costruire, entro cui iniziare i lavori, nonché un termine di tre anni,
dall’inizio dei lavori, per completare l’opera.
Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi
dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba intendersi riferito
a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati
sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel
concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere,
nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella
esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del
costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso
possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Vero è che la a mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per
sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo
inizio dei lavori, entro il termine di un anno dal rilascio del permesso
di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R.
n. 380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia accompagnato
dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a
confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di
costruire di realizzare l’opera assentita.
10.4 Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione
di sbancamento” ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di
esecuzione” per il livellamento dei muri.
Lo attesta, ai sensi del verbale di sopralluogo redatto dai
Carabinieri, la presenza nei “vani ancora esistenti” del materiale
oggetto di demolizione nonché la nota del 3.7.2007 dell’avv. Cesare
Albanese, nella qualità di procuratore della confinante Sig.ra Anna
Zullo, con la quale si chiedeva al Comune, Regione e Soprintendenza di
far sospendere i lavori alla Snat Studio S.a.s.: l’atto dimostra che un
inizio di lavori c’era effettivamente stato prima del verbale del 2009,
in quanto la confinante Sig.ra Anna Zullo non avrebbe avuto motivo di
sollecitare l’intervento l’avv. Albanese per delle mere pulizie del
fondo e rimozione dei detriti”.
“10.5 Anche la concessione di proroga emessa dal Comune risulta legittima.
Infatti, ai sensi dell’art. 15, 2°comma, d.P.R.cit. “La proroga può
essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in
considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue
particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero
quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in
più esercizi finanziari.”.
10.6 Le varie denunce e contestazioni poste in essere dai vicini
rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso”, soprattutto nel caso di presentazione di una
pluralità di esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del
permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere
tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi di forza
maggiore che impediscono di portare a termine, nei tempi prestabiliti, i
lavori”.
“11.1 La verificazione svolta dall’Ing. De Martino, prodotta a
seguito di numerose proroghe, di fatto tiene in non cale la disciplina
urbanistica di riferimento: tralascia di considerare il Piano di
recupero del centro storico, il tipo d’intervento riconducibile – come
sopra precisato – ad una ristrutturazione urbana tramite la
riedificazione del preesistente, da destinare ad attività recettiva”.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per revocazione il Comune di Maratea.
Si è costituito in giudizio la SNAT S.a.s., per resistere al ricorso.
All’udienza del 20 dicembre 2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Va premesso che l’errore di fatto deducibile per revocazione deve:
a) derivare da errata od omessa percezione del
contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia
indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso
presupposto di fatto, facendo cioè ritenere come documentalmente provato
un fatto in realtà escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente
provato;
b) attenere ad un punto controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione
da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea
presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 10
gennaio 2013, n. 1 e numerose altre, tra cui Cons. Stato, IV, 14 maggio
2015, n. 2431; id., V, 5 maggio 2016, n. 1824).
In sintesi, l’errore revocatorio, oltre ad apparire
immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o
indagini ermeneutiche (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 13 dicembre
2013, n. 6006), non va confuso con quello che coinvolge l’attività
valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o
incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di
anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale
probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta
sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame
critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno
luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la
revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di
giudizio, non previsto dall’ordinamento (cfr., tra le più recenti, Cons.
Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; id., 12 gennaio 2017, n. 1296;
id., 6 aprile 2017, n. 1610; id., 21 agosto 2017, n. 4047).
2. Ciò premesso, vanno ora esaminati i singoli motivi di ricorso.
3. Sulla decadenza del permesso di costruire n. 73 del 28.06.2006 per il mancato inizio dei lavori entro l’anno di rilascio.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce che al punto 10.4 della sentenza il Consiglio di Stato afferma: “Nondimeno
nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione di sbancamento”
ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di esecuzione” per il
livellamento dei muri”. Tale circostanze sarebbero attestate “dal
verbale di sopralluogo redatto dai Carabinieri e dalla “nota del
3.07.2007 dell’avvocato Cesare Albanese”.
Secondo il ricorrente, il Consiglio di Stato non
avrebbe tenuto conto della documentazione esistente e delle
argomentazioni dedotte in appello.
Invero, nel permesso di costruire n. 73 del 28.06.2006, al punto 12, sarebbe stato scritto: “I
lavori non potranno essere iniziati prima di aver chiesto ed ottenuto
il sopralluogo da parte dell’ufficio tecnico per la determinazione deli
allineamenti e delle quote, nonché alla verifica da parte del direttore
dei lavori di tutta la documentazione, autorizzazioni, nullaosta,
pareri, ecc.. Il direttore dei lavori comunicherà la data dell’avvenuto
inizio dei lavori, entro 5 giorni dalla stessa”.
Detto adempimento non sarebbe mai stato eseguito dalla
società Studio SNAT e, quindi, i lavori non potevano essere mai
iniziati, così come sarebbe documentalmente provato che gli stessi non
sono mai iniziati.
Inoltre, in data 23.11.2009, sarebbe stato eseguito un
accertamento urgente ex art. 354 c.p.p. congiuntamente dalla Stazione
dei Carabinieri di Maratea e dall’U.T.C. dal cui verbale si estrapola
quanto scritto: "al momento del controllo, non è stata riscontrata,
in loco, presenza di maestranze. Nelle immediate vicinanze del rudere in
questione, non è stata riscontrata la presenza di cartellonistica
indicante i lavori in esecuzione. I lavori sul rudere in questione sono
in corso di esecuzione e, al momento, riguardano lo svuotamento dei vani
ancora esistenti da materiali di risulta proveniente dai crolli di
parte del rudere stesso ... alcuni muri, facenti parte del rudere di
fabbricato in questione, all'atto del controllo risultavano essere
livellati".
In data 03/12/2009, l’Ing. Gaetano Chiurazzo avrebbe
scritto una nota alla Regione Basilicata, al Comune di Maratea ed al
collaudatore in corso d’opera e finale e riferisce quanto segue:
“Dalla data del 23/11/2009, inizio dei lavori di cui al deposito
strutturale n. 488/2006, sino alla dato odierna, i lavori eseguiti
presso il cantiere in epigrafe sono consistiti nell’approntamento e
pulizia del cantiere stesso, nell’asportazione di porzioni di paramenti
murari pericolanti dei ruderi del fabbricato esistente, e
nell’esecuzione di lavori tesi alla messa in sicurezza del cantiere.
Quanto sopra descritto, corrisponde alla situazione dello stato dei
luoghi alla data della stesura della presente”.
Risulterebbe, pertanto, per tabulas e per
espressa ammissione dello stesso Direttore dei lavori, che i lavori
assentiti con il permesso di costruire n. 73/2006 hanno avuto inizio non
prima del 23/11/2009, quando era (da lungo tempo) già decorso il
termine di decadenza di un anno, decorrente dal 18/08/2006 data di
ritiro del suddetto permesso di costruire, entro cui i lavori de quibus
avrebbero dovuto avere avvio.
La lettura del verbale di accertamento congiunto dei
Carabinieri e dell’Ufficio tecnico comunale e quella del Direttore dei
lavori coinciderebbe nella consistenza degli stessi quali lavori
preparatori all’effettivo inizio degli stessi.
La lettura invece fatta dal Consiglio di Stato
contrasterebbe con gli atti e trasformerebbe il tempo passato utilizzato
dai verbalizzanti “risultavano” in tempo presente presupporre un livellamento “attuale”
tanto inveritiero quanto inutile, atteso che il fabbricato andava
completamente demolito e che al posto dello stesso andava riedificata
una struttura in calcestruzzo armato. Alla luce della premessa sulla
ristrutturazione edilizia che consentirebbe la riedificazione come si
giustifica la valorizzazione di un passato ed improponibile livellamento
quale prova di effettiva esecuzione dei lavori in contrasto con la
documentazione fotografica, i verbali e le stesse dichiarazioni della
Direzione dei lavori.
Alla luce di quanto sin qui dedotto emergerebbe, senza
timore di smentita, che la decisione sul predetto punto della sentenza è
l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio in
quanto il Consiglio di Stato (Sezione sesta) ha supposto che …, mentre
dai documenti in atti risulta incontestabilmente che .....
Secondo la giurisprudenza prevalente, l’effettivo
inizio dei lavori dovrebbe essere valutato non in via generale e
astratta, ma con specifico riferimento all’entità e alle dimensioni
dell’intervento edilizio programmato e autorizzato, al fine di evitare
che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso mediante
lavori fittizi e simbolici, e quindi non significativi di un effettivo
intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione
(Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 2013, n. 4855).
Allo stesso modo, sarebbe assolutamente pacifico che
la mera pulizia del fondo e la messa in sicurezza dei muri (mediante il
livellamento), quest'ultimo eseguito per finalità estranee all'attività
edificatoria, sono del tutto irrilevanti ai fini della comprova
dell'effettivo inizio dei lavori.
3.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente afferma che i lavori non sarebbero
iniziati entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire e un tanto
risulterebbe dalla lettura congiunta del verbale dei Carabinieri del
23.11.2009 e dalla nota del D.L. del 03.12.2009 che confermerebbe che i
lavori sarebbero iniziati in questa data.
Ebbene, nella specie, non può affermarsi che il
Consiglio di Stato non abbia esaminato gli atti del giudizio, ma esso ha
dato semplicemente agli stessi una valenza probatoria diversa da quella
invocata dai ricorrenti. La questione ha quindi costituito un punto
controverso della decisione, sulla quale quest’ultima ebbe a
pronunciarsi. Con il ricorso per revocazione si chiede, pertanto,
nient’altro che un riesame del motivo di appello che è stato deciso e
rigettato e che non può essere riesaminato, non essendo previsto
dall’ordinamento giuridico italiano alcun terzo grado di giudizio.
4. Sulla decadenza del permesso di costruire per il mancato rilascio della proroga di validità triennale del permesso.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente
afferma che il Consiglio di Stato sarebbe incorso in un errore di fatto,
assumendo che, diversamente da come ritenuto dal giudice d’appello, la
nota prot. 0015751 del 22.12.2009 del Comune non possa essere
qualificato atto di proroga della concessione. La stessa sarebbe del
seguente tenore: “Facendo seguito alla precedente nota prot. n.
0014902 del 4.12.2009, avendo ricevuto con nota prot. 15663 del
22.12.2009 le integrazioni richieste ed i chiarimenti sulla pratica in
oggetto, comunica che non vi sono più motivi ostativi alla ripresa dei
lavori. Si ricorda di comunicare a quest’ufficio e all’Ufficio Difesa
del Suolo la prosecuzione delle attività relative alle strutture, come
previsto per legge”. Secondo il ricorrente, il Comune di Maratea non
avrebbe, invece, mai rilasciato la proroga del permesso di costruire n.
73 del 28.06.2006.
4.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.
Il fatto dedotto con il motivo di ricorso ha già
costituito un punto controverso nella sentenza impugnata. Il Comune di
Maratea ha dedotto un espresso motivo d’appello sul punto ed il
Consiglio di Stato, a punti 10.5 e 10.6, ha esaminato il motivo e lo ha
rigettato, ritenendo legittima la proroga concessa con la nota n.
0015751 del 22.12.2009. Ora, il Comune, elencando in successione
cronologica gli atti emessi dal Comune in data 4.12.2009 e 22.12.2009,
cerca di giungere ad una nuova interpretazione e, dunque, ad una diversa
qualificazione giuridica della nota n. 0015751 del 22.12.2009. Ciò non
appare ammissibile, in quanto si chiede a questo Collegio di rivedere il
giudizio sul piano valutativo, attribuendo al documento una diversa
qualificazione sotto il profilo logico-giuridico. In altri termini, si
fa valere un presunto un errore valutativo del documento e non un errore
di fatto, il quale ultimo, infatti, deve apparire immediatamente
rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini
ermeneutiche (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n.
6006), e che non va confuso con quello che coinvolge l’attività
valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o
incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di
anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale
probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta
sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame
critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno
luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la
revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di
giudizio, non previsto dall’ordinamento (cfr., tra le più recenti, Cons.
Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; id., 12 gennaio 2017, n. 1296;
id., 6 aprile 2017, n. 1610; id., 21 agosto 2017, n. 4047).
5. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente
contesta la parte della sentenza revocanda, nella parte in cui ritiene
non condivisibili le conclusioni a cui è giunto il verificatore
nominato, ma utilizza gli atti depositati da una sola delle parti e le
conclusioni assunte in sede penale per pervenire al proprio giudizio.
5.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.
Al punto 11.1. della sentenza il Consiglio di Stato così espone: “La
verificazione svolta dall’Ing. De Martino … di fatto non tiene in non
cale la disciplina urbanistica di riferimento; tralascia di considerare
il piano di recupero del centro storico, il tipo di intervento
riconducibile – come sopra precisato – ad una ristrutturazione urbana
tramite la riedificazione del preesistente, da destinare ad attività
recettiva”.
Nella specie, quindi, non vi è stato alcun
travisamento dei fatti accertati dal verificatore, ma si tratta di un
giudizio di inattendibilità della verificazione, per cui si può al
massimo parlare di un error in iudicando, ma non di un errore di
fatto, il quale, appunto, deve derivare dall’errata od omessa percezione
del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale
abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso
presupposto di fatto, facendo cioè ritenere come documentalmente provato
un fatto in realtà escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente
provato.
6. Conclusivamente, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza.
8. Il contributo unificato corrisposto per la
proposizione del ricorso in revocazione rimane definitivamente a carico
del ricorrente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come
in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna il ricorrente a rifondere alla Studio Snat
S.a.s. le spese di lite, quantificate nell’importo omnicomprensivo di
Euro 3.000,00-, oltre accessori di legge.
Il contributo unificato corrisposto per la
proposizione del ricorso in revocazione rimane definitivamente a carico
del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente FF
Bernhard Lageder, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Oswald Leitner, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
| IL PRESIDENTE |
Oswald Leitner |
| Diego Sabatino |
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| IL SEGRETARIO |
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