Dal sito www.leparoleelecose.it
QUANDO UNO STATO MUORE
di Daniele Balicco
Domani, venerdì 15 febbraio, il governò
firmerà l’intesa per l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed
Emilia Romagna. Si tratta di una richiesta di devoluzione pressoché
totale, una secessione mascherata da autonomia. Sono moltissime le
ragioni per cui non c’è stata alcuna discussione pubblica su questa
trattativa “privata” fra Stato e Regioni. Nessun giornale, nessuna
radio, nessuna trasmissione televisiva nazionale (a differenza di quanto
accade da mesi in Veneto) ne ha approfondito la portata, tecnica e
politica. Difficile farlo, del resto, anche perché l’intesa siglata fra
la ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie, la leghista Erika
Stefani, e i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia, è tutt’ora
segreta. Una volta firmata dal governo, questa proposta dovrà passare in
parlamento. Non potrà però essere discussa: solo approvata o respinta, a
maggioranza assoluta. Se passerà, non potrà più essere modificata in
alcun modo, neppure attraverso referendum abrogativo, per dieci anni.
La ministra Erika Stefani parla di vera e
propria rivoluzione. E ha ragione. La Lega, l’unico vero partito
gramsciano rimasto, con tanto di intellettuali organici, una strategia
lucidamente perseguita e una visione ideologia complessiva, sta per
riuscire ad ottenere l’obiettivo per cui è nata: separare il Nord dal
resto d’Italia. Non si tratta di federalismo; ma, questa volta, con
indubbia intelligenza politica, di secessione mascherata da autonomia.
Nell’intesa, Veneto e Lombardia (e, solo in un secondo tempo, Emilia
Romagna) chiedono infatti l’attribuzione di 23 aree di competenza su 23,
vale a dire su tutte quelle previste dall’articolo 117 della
Costituzione. Una devoluzione totale di potestà, compreso fisco, demanio
e istruzione.
Le questioni centrali sono due. La prima
è ovviamente legata alle risorse finanziarie. L’obiettivo ultimo è
quello di trattenere sul territorio i 9/10 del gettito fiscale. Il tutto
mascherato da una procedura tecnica: da ora in avanti, infatti, per
gestire le risorse che le Regioni potranno trattenere, verranno
stabiliti dei bisogni standard parametrati sul gettito fiscale. L’idea è
semplice: se un territorio è più ricco ha diritto ad avere più servizi e
di miglior qualità. In questo modo, come ben spiega Giancarlo Viesti
nel pamphlet Verso la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità
nazionale (il testo si può scaricare gratuitamente dal sito
dell’editore Laterza) si fa tranquillamente passare il concetto che i
diritti di cittadinanza “a cominciare da istruzione e salute, possono
essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito
pro-capite è più alto”. La seconda questione è però ancora più spinosa:
l’istruzione. Qui, duole dirlo, si vede all’opera l’intelligenza
politica di questa classe dirigente leghista, per quanto oscena, in
nulla improvvisata. È la vecchia battaglia per l’egemonia. Si vuole una
scuola regionale, con in insegnanti dipendenti dalle Regioni e assunti
secondo criteri discrezionali stabiliti dalle stesse. Fra cui,
anzitutto, la residenza. Ma è solo il punto di partenza; la volontà
politica è quella di intervenire direttamente sui curricula. Ci sarà
poco da stupirsi, se fra qualche anno, il dialetto veneto o lombardo
diventerà materia di studio nelle scuole di istruzione primaria
regionali.
L’avvio di questa trattativa “segreta”
fra Stato e Regioni si deve al bellunese Gian Claudio Bressa: il 28
febbraio del 2018, in qualità di sottosegretario di Stato dell’ultimo
governo Gentiloni, concluse con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna
un’intesa preliminare. E così, mentre Renzi aveva avanzato, nel suo
progetto di riforma costituzionale, un’ipotesi di ristrutturazione dello
Stato, con una nuova centralizzazione delle competenze strategiche
affiancata da un federalismo regionale equilibrato – e va detto: era
l’unico aspetto di valore della riforma, per il resto pessima – ; il
governo Gentiloni fa la mossa esattamente opposta, aprendo alla
possibilità di una concreta disgregazione dello Stato, di una
devoluzione pressoché totale che fu sempre osteggiata perfino da
Berlusconi.
Forse la lunghissima transizione
italiana è arrivata al suo compimento. In silenzio, e quasi di nascosto,
il 15 febbraio 2019 potrebbe diventare una data storica. La data in un
cui uno Stato, l’Italia, muore.
Nessun commento:
Posta un commento