DISEDUCAZIONE CIVICA
Di Giovanni Fioravanti | 10.05.2019
Da settembre tornerà l’educazione civica nelle nostre scuole, come
disciplina autonoma, senza cattedra, perché avrà un coordinatore, ma non
un docente titolare, per 33 ore all’anno da sottrarre a qualche altra
materia, con tanto di voto in pagella, e quanto questo sia
educativamente civico sarebbe da discutere.
Eppure l’educazione civica ha avuto un padre nobile,
Aldo Moro, che da ministro dell’istruzione nel 1958 ne introdusse
l’insegnamento nelle scuole medie e superiori, per due ore al mese
obbligatorie, affidate al docente di storia, senza valutazione.
Poi nel 2004, con le Indicazioni nazionali della
riforma Moratti, l’educazione civica è diventata “Educazione alla
convivenza civile”, trasversale a tutti i percorsi scolastici e senza
voto come “Cittadinanza e costituzione”, versione più aggiornata
dell’educazione civica delle Indicazioni nazionali del 2012.
Nel frattempo l’Europa dettava le competenze chiave
della cittadinanza europea, tra le quali la competenza in materia di
cittadinanza.
È accaduto che l’educazione civile, il civismo, è
venuto a mancare in maniera preoccupante, così in questi anni sono state
presentate alla Camera ben 16 proposte di legge di tutti i gruppi
politici e l’Anci, l’Associazione Comuni d’Italia, con in testa il
comune di Firenze, ha raccolto centomila firme per reintrodurre nelle
scuole l’insegnamento dell’educazione civica come disciplina autonoma e
con il voto.
La cosa di per sé potrebbe sembrare anche meritevole,
ma come capita ormai nel nostro paese da diverso tempo a questa parte,
le soluzioni sembrano sempre poco riflettute e vecchie in partenza,
quasi che i tempi non cambiassero.
Neppure l’insegnamento della religione cattolica ha il
voto e i voti, che meriterebbero una attenta riflessione sulla loro
utilità formativa, invece si propongono come trovata costrittiva per una
educazione alla cittadinanza che a ben altro dovrebbe formare, come
assumersi la responsabilità delle proprie azioni, ad esempio, anziché
tornare a puzzare di ordine e disciplina assecondando il vento che
tira.
Questa del ritorno dell’educazione civica non sembra
proprio una conquista e spiace che il paese non abbia un pensiero
democratico diffuso capace di formulare proposte più nuove, più
intelligenti e più avanzate, forse è proprio per questo che non dobbiamo
stupirci se poi a prevalere nell’opinione pubblica sono populismo e
sovranismo, proprio perché lo spirito democratico manca da tempo di
pensieri alti e lunghi.
La sensazione è che siccome si è perduto il bon ton
della convivenza civile si ricorre ai ripari. E così i cafoni, quelli
stessi che hanno perso di vista il politically correct, hanno pensato
di rimediare somministrando ai loro rampolli un’ora settimanale di
apprendimento delle buone maniere civiche, con esercitazioni e
valutazioni, travestendo la scuola da tata tedesca. È che, se a casa
poi si mangia con le mani nel piatto, serve a poco aver appreso il
galateo a scuola.
Non abbiamo bisogno di catechismi laici, ma di una
società sana. I tempi non sono quelli del 1958, l’Italia e il mondo non
sono più quelli e alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi servono gli
strumenti per esercitare il loro diritto ad una cittadinanza attiva,
consapevole e responsabile.
Tutto ciò non si forma con l’apprendimento di una
materia, ma con una pluralità di conoscenze e di esperienze che non sono
riconducibili ad unico contenitore, hanno bisogno di progetti e
percorsi, di curricoli per dirla da esperti, hanno necessità di
intrecciare e intessere numerosi territori del sapere, che non si
risolvono con 33 ore all’anno.
Il nostro sistema formativo ha dimostrato in tutti
questi anni di saperlo fare, di saper interagire con il territorio, le
sue reti, i suoi protagonisti e le sue istituzioni. Non ha dovuto
attendere la legge approvata alla Camera per affrontare gli assi
epistemici lì indicati, dalla Costituzione all’Agenda Onu 2030, dalla
cittadinanza digitale ai diritti, dall’educazione ambientale
all’educazione alla legalità.
Credo che le nostre scuole nell’esercizio della loro
autonomia in questi anni abbiano fatto molto di più, trovandosi sempre
in prima linea ad affrontare una popolazione scolastica sempre più sola e
disorientata.
Ma la politica evidentemente è distratta, avrebbe
dovuto prestare più attenzione alle tante iniziative promosse ogni
giorno dalle nostre scuole e da lì apprendere. Dall’educazione
democratica, alla solidarietà e all’inclusione, fino alla costante presa
di coscienza della nostra storia, della storia del mondo, del
significato di Europa, del dramma dei conflitti mondiali, della Shoah,
fino alla lotta contro il cyber bullismo, per la legalità contro le
mafie, cercando di capire come il mondo intorno a noi cambia.
Sarebbe bastato confrontarsi con questa fucina di idee
e di iniziative vissute sul campo per essere in grado di proporre
qualcosa di nuovo e soprattutto fornire più risorse perché le scuole, le
ragazze e i ragazzi con loro possano continuare a crescere.
Il risultato prodotto, invece, è un provvedimento
senza soldi a testimonianza di una colpevole e generalizzata
superficialità, oltre del perenne gattopardesco civismo italiano. Questo
governo si propone di finanziare, a partire dal 2020, il nuovo, si fa
per dire, insegnamento, con quattro milioni l’anno, corrispondenti a 85
euro per scuola, 57, se poi si considerano le scuole dell’infanzia. Va
da sé che questa è palesemente diseducazione civica.
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