di MICHELE STRAZZA

Durante il fascismo tra le regioni italiane scelte come sede dei numerosi confinati politici e comuni che il regime perseguitava vi fu la Basilicata. Le ragioni di tale scelta furono indubbiamente le più varie. 

 

A pesare maggiormente fu probabilmente quella logistica: la regione offriva un territorio abbastanza tranquillo, con piccolissime realtà comunali, abitate da una popolazione esigua,
semplice e rassegnata. La stessa situazione politica era sufficientemente calma e non esisteva una opposizione che potesse dare qualche fastidio. Comunque, al di là delle motivazioni precise, la Basilicata, soprattutto la nuova provincia di Matera, fu tra le regioni con più alto numero di comuni

destinati a sedi di confino di polizia. 

 

A Pisticci, addirittura, fu ubicato un campo di concentramento per internati civili che vide passare, tra internati e confinati, oltre 1.300 persone. Si calcola che tra confinati ed internati, in Basilicata transitarono oltre 5.000 persone, tra le quali personalità di rilievo della cultura e della politica dell’epoca come Carlo Levi, Eugenio Colorni, Guido Miglioli e Manlio Rossi Doria.
 

Nel 1936 giunse in Lucania un altro personaggio famoso. Si trattava dell’insegnante quarantasettenne Camilla Ravera (1889-1988), uno dei fondatori del Partito Comunista. Prima componente del Comitato centrale del partito e della redazione di Ordine Nuovo di Gramsci, quale curatrice della rubrica “Tribuna delle donne”, era stata segretario nazionale del Partito Comunista dal 1927 al 1930 quando i massimi dirigenti, tra cui lo stesso Gramsci, erano finiti in carcere. Confinata già nel 1926, nel luglio del 1930, rientrata clandestinamente dalla Francia, era stata arrestata per la sua attività comunista.
 

Condannata a 15 anni e 6 mesi di carcere, aveva scontato i primi 5 anni nelle sezioni femminili dei carceri di Turi e Perugia, posta in regime di isolamento in quanto “detenuta pericolosa”. Nel 1935 per breve tempo era stata rilasciata per problemi di salute e, poi, con l’amnistia del 1936, definitivamente scarcerata e posta agli arresti domiciliari
Riportata in carcere per una visita di “controllo” il 12 ottobre 1936, dopo due settimane fu inviata al confino in Lucania che raggiunse con un lungo viaggio di 4 giorni e 3 notti, passando dagli istituti penitenziari di Piacenza, Ancona e Potenza per poi approdare a Montalbano e, infine, trascorrere altri 5 mesi nella vicina S. Giorgio.
La prima destinazione di Montalbano gli venne comunicata dipingendola come “luogo di ottimo clima, saluberrimo”. In realtà, come presto si rese conto, il centro lucano era un paese malarico ed il mare si vedeva solo “in lontananza, da un lato del panorama” che si stendeva all’intorno del paese; dagli altri lati era “tutto un susseguirsi di monti o alti colli”. Montalbano – annotava la donna – era solo un gruppo di case raccolte intorno a un piccolo colle, case “tutte bianche, calcinate, con molti balconcini e qualche terrazzo”.
 

Così osservava il ritorno dei contadini dai campi:
“Nell’ora del tramonto si vedono, qua e là per questi dirupi e scondiscendimenti, le genti tornar dal lavoro: uomini montati su piccoli asini, asinelli carichi di sacchi o di fascine, e minuscoli carrettini con alte ruote; e capre appaiono e spariscono su è giù per la rigosità di questa terra rossiccia e contratta”.
Dopo vari giorni in cui aveva trovato alloggio nella soffitta della locanda “Roma”, gestita dalla famiglia Carlucci, il podestà locale le propose di fare “un po’di scuola ai giovani analfabeti prossimi alla chiamata di leva”, per evitare che, una volta partiti, non sapendo scrivere, non mandassero proprie notizie alle famiglie, costringendo le madri a chiederle al municipio.
Ma l’iniziativa, puntualmente annunciata dal banditore comunale, durò solo pochi giorni perché la polizia, informata del fatto, intervenne e la confinata fu trasferita a S. Giorgio Lucano, un paese all’interno e ancora più isolato, mentre il podestà, prima diffidato, venne rimosso dall’incarico.


 

Nella nuova destinazione Camilla Ravera prese prima alloggio nella locanda e, poi, nella casa della famiglia Gerardi, al piano di sopra. Pur essendo sottoposta ad una vigilanza più incisiva rispetto a quella di Montalbano, non mancò il contatto con la gente del posto che gli manifestava “una prudente ma vigilante e commovente solidarietà”. Anche con la padrona di casa, una contadina con due figlie piccole, si instaurarono i primi rapporti e la confinata la sera scendeva al piano di sotto per trattenersi davanti al camino o per bere del latte. A volte parlava anche con altri paesani che, intorno al fuoco, discutevano delle
proprie condizioni di vita e di lavoro. Ma il tutto fu fatto con grande cautela perché spesso, come ricorderà poi la Ravera, arrivavano i carabinieri per un’ispezione.


 

Restò a S. Giorgio per circa 6 mesi prima di essere rimandata, il 28 maggio 1937, nell’isola di Ponza. Trasferita a Ventotene, fu, con Umberto Terracini, l’ultima a lasciare il confino. Ambedue erano stati espulsi dal Partito Comunista per aver condannato il patto Ribbentrop-Molotov sulla spartizione della Polonia. Dopo la liberazione la dirigente comunista venne riammessa nel partito e nel 1948 fu eletta deputato. Sandro Pertini, che l’aveva conosciuta a Ventotene, nel 1982 la nominò senatore a vita. Non dimenticò mai il suo periodo di confino in Lucania.

Bibliografia essenziale
De Luna G., Donne in oggetto: l’antifascismo nella società italiana 1922-1939, Bollati
Boringhieri, Torino 1995.
Gobetti Ada, Camilla Ravera, vita in carcere e al confino, Guanda, Parma 1969.
Ravera C., Diario di trent’anni, Editori Riuniti, Roma 1970.
Sacco L., Provincia di Confino. La Lucania nel ventennio fascista, Schena Ed., Fasano 1995.
Strazza M., Melfi Terra di Confino. Il confino a Melfi durante il Fascismo, Tarsia Editore, Melfi
2002.