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Articolo di Nicola SAVINO*
Discussioni infinite sul suicidio assistito ma silenzio (appunto) tombale sui “pronto soccorso”, versanti estremi della nostra realtà che con buona probabilità poggiano sulla nostra capacità di discuterne!
Molti vogliono infatti dire la loro opinione-in Parlamento e sulle decisioni della Corte Costituzionale- con Ordini del giorno nelle varie assemblee o circoli o Università, nei bar e nelle strade. Si spacca il capello intorno alla fondatezza del diritto a togliersi la vita e sul modo giusto per farlo; sicché é infine proprio questo ampio ed approfondito discutere che aiuta ad individuare la soluzione più giusta!
Cos ’accade invece se tutto tace intorno ai nostri “pronto soccorso”? Lì la gente ci va (e spesso dopo molta riluttanza) per il motivo esattamente opposto: perché, anche se in tarda età, vuol continuare a vivere! Ma dei tanti episodi quotidiani che vi accadono non si sa nulla, forse semplicemente perché non se ne discute e non ci si confronta sul modo di organizzare al meglio l’urgenza.
Per il “pronto soccorso” non si tratta di attrezzatura o di elevata specializzazione; qui è centrale l’aspetto organizzativo e talvolta la semplice logica. Come infatti va a finire se un novantenne per il quale il medico di base attesta che sta male da giorni e che sospetta problemi cardiaci (i quali sono impossibili da indagare fuori dal reparto specifico e che, pur gravi ma intermittenti, nemmeno l’equipe del 118 riesce a rilevare) lo si classifica “verde” e lo si blocca per sei ore, da solo e senza assistenza parentale (date le regole anti-covid)?
Insomma, mentre mobilitiamo le migliori intelligenze e le stesse Istituzioni per stabilire le modalità “più giuste” all’esercizio del diritto di morire, abbandoniamo negli angoli più ottusi di migliaia di “pronto soccorso” l’esistenza di chi, pur molto anziano e non foss’ altro che per i rapporti affettivi, vorrebbe invece conservarla? (E che- infine- ammesso in piena notte-si spegne all’alba, prima che il Reparto possa riattivarsi!) Con quale logica si è dato il “verde” invece che il “rosso” ad un ultranovantenne se non per inadeguatezza del servizio-filtro? Che non dà credito al medico di famiglia (nel caso “fortunato” presente) invece che all’infermiere dell’ambulanza?
Gli errori del “pronto soccorso” sarebbero evitabili come tutti quelli che determinano “colli di bottiglia” e che ostacolano l’accesso a Reparti di per sé capaci di assumere e fronteggiare i vari casi! Perché dunque non discutere in pubblico del modo più giusto di organizzare questi reparti; perché non si utilizza il metodo del confronto periodico tra le esigenze dell’Utenza ed il Servizio preposto a soddisfarle?
Siamo forse al persistere inconscio della vecchia subordinazione tra “di chi sta sotto e chi sta sopra”, tra “chi ha bisogno e chi può soddisfarlo”, che- specie nel nostro Mezzogiorno- è durata a lungo e non è ancora del tutto scomparso?
Il Servizio pubblico essendo sorto da oltre 40 anni, il meno che si possa pretendere è che tale costume sia eliminato radicalmente. Perché la Dignità-come ciascuna delle nostre vite- è tanto preziosa che occorre tutelarla non soltanto quando la seconda diventa insostenibile! ns
*Già Parlamentare e Sottosegretario di Stato
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