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“Olezzo” – (Ironicamente) fetore, puzza –
di GERARDO ACIERNO
C’è stato
un tempo della nostra gioventù (nostra, da intendere come generazione
nata immediatamente nel post-guerra), in cui la primavera tornava a
mostrarsi sulle colline, nei vicoli e nelle strettoie dei nostri paesi
poco prima della festa di San Giuseppe, il 19 marzo. Era un evento
sportivo a sigillare questa nostra cadenza temporale: la ‘Milano –
Sanremo’, prestigiosa classica del ciclismo mondiale.
Vincevano quasi sempre gli stranieri: lo
spagnolo Miguel Poblet, il belga Rick Van Looy, il francese Poulidor e
altri ancora di cui ho perso il conto. Bisognò aspettare il 1970 per la
vittoria di uno sprinter italiano, Michele Dancelli. Ma in quell’anno
avevamo (purtroppo) già scavallato, lasciandoci alle spalle sogni e
fantasie.
Tornava, la primavera, come dicevano i
poeti e i compositori, ‘tra i mirti in fiore e gli aranci che olezzano
sui verdi margini (anche da noi? ma quando mai?).
Vabbè, comunque tornava. Il secondo
trimestre (decisivo per un titubante anno scolastico) in questo lasso di
tempo volgeva al tramonto e l’alba di nuove amicizie si ritagliava il
suo spazio in palpitanti e timide avventure adolescenziali. Tutto
sembrava giocare a nostro favore: si andava a vedere il Potenza in serie
B; nei cinema della città si proiettavano film in prima visione; a
teatro recitavano Gassman e Buazzelli; a Montereale si ballava e a
Rifreddo la Montecatini (poi diventata Montedison) approvava la colonia
estiva per i figli dei suoi operai brindisini. C’era dappertutto sentore
di rinascita, di cose che mutavano, c’era profumo di futuro. Poi
la vita di ciascuno di noi ha imboccato propri, misteriosi corridoi e
le nostre primavere come tutto il resto e secondo leggi naturali si sono
di parecchio avvizzite. Sarà forse per questo motivo che il profumo di
cui sopra in queste due ultime settimane mi sembra essere diventato
olezzo, come da definizione iniziale.
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