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“Oggi voglio raccontarvi una storia. La storia di una terra forte, energica, magnetica. E dei suoi figli. Che vivono nella precarietà senza lamentarsi. Studiando, conoscendo, amando. Di un treno che quando arriva da queste parti tira dritto. Di un amore sempre tradito. Perché voi, discendenti dei briganti, di emigranti, di contadini, siete le sue energie rinnovabili. Perché voi, oggi, avete capito che andarsene non è un privilegio, come vi hanno fatto credere. È una fregatura” (dal romanzo “Maltempo” della scrittrice materana Mariolina Venezia). Basilicata: “terra” in ogni senso, nel bene e nel male, a cominciare dai significati etimologici di “terra”, come “materia” e “cosa secca”, che si rinvengono in ogni dove, da Matera ai calanchi.
“Quelle terre si sono andate progressivamente impoverendo; le foreste sono state tagliate, i fiumi si sono fatti torrenti, gli animali si sono diradati, invece degli alberi, dei prati e dei boschi, ci si è ostinati a coltivare il grano in terre inadatte. Non ci sono capitali, non c’è industria, non c’è risparmio, non ci sono scuole, l’emigrazione è diventata impossibile, le tasse sono insopportabili e sproporzionate: e dappertutto regna la malaria. Tutto ciò è in buona parte il risultato delle buone intenzioni e degli sforzi dello Stato, di uno Stato che non sarà mai quello dei contadini, e che per essi ha creato soltanto miseria e deserto” (da “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi). In Basilicata, in senso negativo, è cambiato poco o nulla (come in molti Sud del mondo): si è passati dalla malaria causata dalla zanzara anofele alla “mal’aria” (e non solo nelle zone delle estrazioni petrolifere) che fa più danni della malaria.
“Queste dure colline che han fatto il mio corpo / e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio / di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla. / L’ho incontrata, una sera: una macchia più chiara / sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate. / Era intorno il sentore di queste colline / più profondo dell’ombra, e d’un tratto suonò / come uscisse da queste colline, una voce più netta / e aspra insieme, una voce di tempi perduti” (da “Incontro” di Cesare Pavese). Una voce di tempi perduti: quella della Basilicata di una volta, di tanti suoi figli ovunque sperduti! “La nostalgia è il profumo dolce dei ricordi” (l’aforista Antonio Curnetta). Basilicata, terra di nostalgia, terra di cui ogni zolla emana un profumo dolce di ricordi, come la bruma del primo mattino o del crepuscolo.
“Affondare tra le zolle di terra / argilla blu dove un tempo era il mare / rami le braccia /
radici i piedi / radici / salvezza /
semplice salvezza / attraverso la nebbia / come acqua fresca da bere /
in un caldo giorno d’estate / appartenenza / e così sia” (“Appartenenza”
di Marco Bo, poeta e aforista). Acqua fresca da bere, argilla in cui
affondare, radici, appartenenza: alcuni dei tratti della Basilicata e
della lucanità.
“Noi meridionali ci siamo fatti entrare il sole nelle ossa, con quello siamo cresciuti. Il sole ci ha indorato e fritto, ci ha salato a mare, ci ha scaldato d’inverno su balconcini di case senza riscaldamento. Noi meridionali siamo “inSOLEnti”, perché nella parola stessa il sole è al centro” (Erri De Luca). Basilicata: il sole che spacca ancor di più l’argilla dei calanchi, il sole che dà varie sfumature al tufo dei Sassi di Matera, il sole che appesantisce le palpebre nelle lunghe estati paesane, il sole che ha bruciato la pelle di generazioni di contadini, il sole che ha inaridito campi e sogni… Il sole meridionale, il sole lucano: lucani “inSOLEnti”, lucani indolenti, ma sempre e solo lucani! “Le stradine anguste del centro storico e le case intonacate a calce sprigionavano tanto calore, che i panni stesi al sole, sui fili di acciaio inveicolati su carrucole di ferro fra muri di edifici opposti o fra pertiche di legno a forma di forcella sulle pareti degli edifici, si asciugavano rapidamente sprigionando nell’aria un fresco odore di sapone di Marsiglia” (lo scrittore Francesco Serafino). Così il percorso sensoriale nelle stradine dei ricordi della Basilicata di una volta di cui la memoria di molti è avvolta, così il percorso che si ricostruisce per attirare e affascinare i turisti di passaggio!
La vita di una volta nei Sassi di Matera: sacrifici, salite, salute precaria, saggezza degli anziani, sagacia del vicinato, santini appesi a pareti e altrove, santi invocati o imprecati nelle difficoltà e cui si dedicavano le edicole votive, sassaiole tra i ragazzini, sangue dalle ginocchia sbucciate durante i giochi all’aperto, sale del baccalà, sapori naturali, salsa di pomodoro come rito estivo, sacralità di tutto… Così un po’ in tutta la Basilicata passata e travagliata, ma indimenticata!
“Dolce cielo celeste / dipinto di azzurro tenero / e voi verdi monti e voi / valli e boschi, nuvole / che là, verso l’orizzonte /navigate lente, e tu sole vicino / al tramonto che spandi questa luce / d’oro nell’aria, e ogni cosa fai tiepida / del tuo calore, e tu aria che muovi / i miei capelli e spiri sulle mie / guance e le pagine volti dispettosa del quaderno ove scrivo” (dalla raccolta “Cieli celesti” del poeta Claudio Damiani). Tra calore e colore, sale e sole, monti erosi e manti erbosi, tempi gloriosi e contrattempi annosi, antichi segni e vecchi sogni, accidenti e occidenti: la Basilicata!
“Addio boschi, querceti silenti, margherite dal lungo stelo, colline fatali per chi non riesce a dimenticarle; addio cipressi […]. Addio. Ho un appuntamento: non so dove e con chi, ma me ne vado lo stesso” (Antonio Petrocelli, attore e scrittore nativo di Montalbano Jonico). Basilicata: regione dei troppi, tristi, irrefrenabili addii! “È una notte bellissima d’estate. / Nelle alte case stanno / spalancati i balconi / del vecchio borgo / sulla vasta piazza. / In quell’ampio rettangolo deserto, / panchine di pietra, evonimi [arbusti], acacie / disegnano in simmetria / le nere ombre sulla bianca arena. / Allo zenit, la luna, e sulla torre / col quadrante alla luce l’orologio. / In questo vecchio borgo vado a zonzo / solo, come un fantasma” (il poeta spagnolo Antonio Machado in “Notte d’estate”). Soli come fantasmi, paesi fantasmi (Craco vecchio, Campomaggiore vecchio, Grumentum, …), casolari fantasmi, tratturi fantasmi, ruderi fantasmi: Basilicata, terra di magia e nostalgia la cui traccia non va via.
Su Craco vecchio (MT) “[…] un luogo abbandonato. Un paese diventato fantasma in seguito ad una grande frana cinquant’anni fa. […] carcassa disgregata che un tempo era stata comunità” (il regista potentino Antonello Faretta). La Basilicata rischia di essere abbandonata e diventare disgregata e dimenticata: non lo merita per quello che è stata e per quello che ha, dal capitale naturale a quello umano.
“Oh, erbose radure! Oh, primaverili in eterno, paesaggi sconfinati dell’anima! In voi, benché siate da tanto tempo disseccati dalla siccità mortale della vita terrestre, in voi gli uomini possono ancora voltolarsi, come giovani puledri nel trifoglio nuovo del mattino, e per qualche fuggevole istante sentire su di loro la fresca rugiada della vita immortale” (Herman Melville nel romanzo “Moby Dick”). Basilicata: regione in cui si vive sulla propria pelle ogni stagione ed ogni emozione!
“A fianco del campo di grano che dà nutrimento che gli uomini rispettosamente coltivano e lavorano cui il sudore del loro lavoro e, se bisogna, il sangue dei loro corpi sacrificano, a fianco del campo del pane quotidiano lasciano però gli uomini fiorire il bel fiordaliso. Nessuno lo ha piantato, nessuno lo ha innaffiato, indifeso cresce in libertà e con serena fiducia che la vita sotto il vasto cielo gli si lasci” (il tedesco Dietrich Bonhoeffer). Dai campi di grano intrisi di sudore al vasto cielo che accoglie ogni aspirazione: non è così bella emozionante la Basilicata?
“Luce a una finestra. Una donna è sveglia / in quest’ora immobile. / Noi che lavoriamo così abbiamo lavorato spesso / in solitudine. Ho dovuto immaginarla / intenta a ricucirsi la pelle come io ricucio la mia / anche se / con un punto / diverso. / Alba dopo alba, questa mia vicina / si consuma come una candela / trascina il copriletto per la casa buia / fino al suo letto buio” (la poetessa statunitense Adrienne Rich in “Notte bianca” dalla raccolta “Cartografie del silenzio”). La Basilicata è una notte bianca di poesia e di malìa, è una cartografia del silenzio, sinuoso e a volte sinistro, come quello che si percepisce nei suoi boschi, soprattutto querceti.
“C’era l’America bella, lontana del padre mio che aveva vent’anni. Il padre mio poté spezzarsi il cuore. America qua, America là, dov’è più l’America del padre mio?” (dalla poesia “C’era l’America” di Rocco Scotellaro). C’era la Basilicata bella, lontana dei nostri nonni, dei nostri padri. Basilicata qua, Basilicata là, dov’è più quella Basilicata? Quella Basilicata attraversata, studiata e ammirata da intellettuali e artisti nel ‘900, dal fotografo francese Henri-Cartier Bresson al pittore spagnolo Josè Garcìa Ortega. “[…] adesso non restava che sperare in una salvifica stagione delle piogge che inondasse ancora queste aride terre nelle periferie del mondo / una pioggia salvifica a ricordarci / che è meglio abbattere il muro adesso / perché oggi siamo / domani chissà” (dalla poesia “Era il muro del silenzio” di Marco Bo). La speranza necessaria per la Basilicata! Abriola col suo amato S. Valentino, Accettura col rito arboreo, Acerenza con l’antica cattedrale, Aliano con le apotropaiche maschere cornute, Albano di Lucania affacciato sulle Dolomiti lucane, Avigliano con gli affilati “coltelli dell’amore”… A… altro ancora è la Basilicata! La Basilicata è un tesoro nascosto così come la ritrosia è una caratteristica dei veraci lucani. Da Maratea, “perla del Tirreno” al “richiamo delle cascate selvagge” di San Fele.
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