- Da Il Fatto Quotidiano del 14 giugno 2022 -
LA GENTE NON VOTA, STUFA DEI PARTITI
Di Massimo Fini
Non so se per dabbenaggine o piuttosto per malizia tutti
i media, alla chiusura delle urne, si sono concentrati sul flop dei
referendum sulla Giustizia. Non era questa la notizia perché quel flop
era abbondantemente annunciato. La notizia riguardava il livello di
astensionismo alle comunali che poteva essere accertato già mezz’ora
dopo le 23 e sul quale i media hanno preferito sorvolare non solo in
prima battuta ma anche molte ore dopo cercando comunque di far
confusione fra elezioni e referendum.
L’affluenza alle urne per le amministrative 2022, dove
pur si votava per alcune importanti città, è stata del 54,7 %. Nella
precedente tornata, quella del 2017, l’affluenza era stata del 60,07 %.
Sei punti in più. Nel 2013 aveva votato il 75 % degli aventi diritto. In
dieci anni un buon quarto della popolazione se l’è squagliata, ha
disertato le urne . Non si tratta, come si dice e si scrive, di
disaffezione per la politica e nemmeno per la democrazia, ma per quella
sua forma degenerata che si chiama partitocrazia. Più che di
disaffezione siamo di fronte a un autentico rigetto nei confronti dei
partiti per il progressivo discredito che sono venuti accumulando anno
dopo anno. Che i partiti godano di una cattivissima fama presso una
buona parte della popolazione se ne sono accorti persino gli uomini
politici anche se ne parlano a bassa voce. Alle comunali di Parma di
quest’anno solo un candidato, Priamo Bocchi, si è presentato con un
partito, Fratelli d’Italia. Tutti gli altri hanno preferito nascondersi
nelle “liste civiche”. Ma quello di Parma non è stato un caso isolato,
ha riguardato molti dei 978 comuni su cui i cittadini sono stati
chiamati a votare. Sono diventati tutti, o quasi, “civici”. C’è anche
chi ci tiene a precisare, puntigliosamente, di non esser mai stato
iscritto a un partito (Vignali, candidato del centro-destra a Parma).
I cittadini, quasi la metà per il momento ma la
percentuale potrebbe aumentare nei prossimi anni fino a mettere in
dubbio la legittimità del sistema, hanno capito che i partiti sono delle
lobbies che si autoproteggono e proteggono i loro adepti. Chi vota non
sceglie un candidato per chissà quali meriti o programmi o ideali, ma
per ottenere protezione. Molto significativo è quanto dice,
intercettato, Pietro Polizzi, candidato nelle liste di Forza Italia a
Palermo, a due noti esponenti mafiosi, Manlio Porretto e Agostino
Sansone che ospitarono Totò Riina negli ultimi tempi della latitanza:
“Se sono potente io… siete potenti voialtri”. Si dirà che qui siamo in
ambito prettamente mafioso, ma il metodo dei partiti è lo stesso anche
fuori dalla mafia propriamente detta: protezione in cambio di consenso.
Ciò che non si tollera in un candidato è l’onestà, quando mai l’avesse.
L’affermazione di Benjamin Franklin “L’onestà è una virtù perché dà
credito” si è trasformata nel suo contrario. L’onestà è un handicap
perché la persona onesta si sottrae a quei traffici, più o meno loschi,
di cui è tessuta la vita dei partiti e più in generale la politica
italiana. Lo stesso Norberto Bobbio, che ha dedicato buona parte della
sua lunga vita allo studio della Democrazia, ammette che il voto
d’opinione, quand’anche ci sia, non conta nulla e aggiunge: “Oserei dire
che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché
hanno capito, o credono di aver capito, che le elezioni sono un rito cui
ci si può sottrarre senza danni”. E Max Weber afferma che i programmi
dei partiti sono delle fanfaluche, prive sostanza. A contare sono i
legami clientelari, familiari e, spesso, dichiaratamente mafiosi. In
questa situazione in cui minoranze organizzate sono dominanti (oltre ai
partiti naturalmente ce ne sono anche altre, soprattutto economiche)
naufraga l’uomo libero che sarebbe il cittadino ideale di una
democrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima
designata. Questo gli italiani lo hanno capito e l’astensione è l’unica
forma che può assumere la protesta.
Come se non bastasse a questa situazione si è aggiunto
il referendum proposto dai radicali e dalla Lega sulla Giustizia. Si è
detto e scritto che gli italiani non sono andati a votare questo
referendum perché della Giustizia gli importa poco. E vero il contrario.
Non ci voleva un esame accurato e approfondito dei vari quesiti per
capire che quel referendum era contro la Giustizia e volto a
salvaguardare i soliti noti dalle loro malefatte penali. Basti dire che
si voleva abrogare la legge Severino che dispone che non possono essere
candidati alle elezioni o ricoprire cariche di Governo coloro che sono
stati condannati in via definitiva per reati non colposi. Insomma: un
“salvaladri” in piena regola.
Fra le pieghe del referendum c’era poi una norma comica
che voleva che a partecipare alla valutazione della professionalità dei
magistrati fossero anche “esperti in materia giuridica come avvocati e
docenti universitari”. Poiché gli avvocati sono, per professione, i
principali avversari dei magistrati, con cui si scontrano ogni giorno in
aula, è come chiedere a un gatto quando un cane è buono.
Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2022
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