venerdì 10 giugno 2022

LA PESTE DEL 1656 IN BASILICATA

  

L'annotazione originale dell'inizio del contagio a Maratea
      -  Lettera  di  Nicola  SAVINO  -

 

Caro Direttore,

nella Rubrica “Studi e ricerche” dell’ultimo numero della rivista quadrimestrale Leukanikà, la Prof.ssa Antonella Santagata, già docente al Classico di Potenza, pubblica-anche con riferimento a L’antica terra di J. Cernicchiaro e V. Perretti-  un documentatissimo articolo su “La peste del 1656 a Maratea”, che mi permetto segnalare all’eventuale interesse dei tuoi Lettori.

  

L’ epidemia, iniziata a Napoli per un contagio pare derivato da un’imbarcazione sarda, produsse un “flagello . .nella fase più violenta con oltre 4 mila morti al giorno.. ed un calo demografico di circa il 21% , di circa 100 mila fuochi rispetto alla rilevazione del 1648...

In Basilicata ..la perdita di un quarto di abitanti, con incidenza del 34-35% ..nel Melfese, Acerenza, Tricarico ed in particolare nel Lagonegrese.. popolazione dimezzata rispetto al secolo precedente”.

“Dal maggio 1656 all’aprile del 1657, in Lagonegro mietè più di 2 mila vittime (tant’è che) rimasero in vita solo 1570 persone”. L’area attraeva molti napoletani in fuga, e Maratea- in particolare per il suo ruolo di “porto lucano unico sul Tirreno ..- aveva una testa di ponte commerciale nella capitale (i pizzicagnoli erano per eccellenza marateoti e le botteghe di formaggi): perciò fu particolar- mente esposta al contagio. “Nel 1648 (contava) circa 3150 abitanti: oltre 2700 per Maratea Inferiore e 450 per M. Superiore, ridotti (poi) a meno di 1400 anime nel 1669..// 208 fuochi per Inf e 61 per Sup, secondo il libro già citato//secondo Capano da 2730 a 1040 abitanti per Inf.”

Fonti principali dell’articolo sono sia il Libro dei defunti dell’Arciprete di S.M. Maggiore,  D. Giovanni Giacomo Santoro (“la peste in città cominciò il 18 giugno 1656” e “durò un anno intero… fino al giugno ‘57, ultimi casi, 1 in città e 2 ad Acquafredda”), sia gli atti testamentari del notaio Nicola Armenia e dei religiosi stessi, che li redigevano all’atto delle funzioni conclusive.

Molti di essi furono infatti contagiati per la frequenza dei loro contatti con malati e moribondi. Numerosi anche i fanciulli e le donne rispetto ai maschi (50 a 36 in settembre), probabilmente per deficit nutritivo. “I luoghi individuati per la quarantena furono in primis il Porto e l’isola di Santo Janni, successivamente le torri del porto e della costa.. anche la torre della Caja, l’ultima delle sei ..presenti ., in prossimità di Castrocucco.. A fine giugno 1657 fu attivo anche il lazzaretto di Sant’Elia”. C’è traccia a S. Venere e ad Acquafredda. Le sepolture non avvenivano più nelle chiese per timore del contagio e si adottò <la cosiddetta “spurga”, il dare alle fiamme le suppellettili e i morti all’interno delle proprie case”.

Da tali documenti si rilevano la situazione economica abbastanza florida di una parte della cittadinanza e la consistenza dei lasciti alle chiese cappelle monasteri; le morti di cittadini provenienti dai Paesi vicini, anche campani; i marateoti deceduti altrove (15 addirittura a Napoli) ed i ricchi che investivano nella Capitale (duecento ducati ..per il palazzo della poteca a ducati otto per cento, da parte del marateota Antonio Mercadante); la morte contemporanea di molti bambini per dissenteria (che però non era collegata alla peste).

Insomma, caro Direttore, credo si tratti di vicende che aiutano a capir meglio il presente e su cui i giovani studiosi locali potrebbero ben applicarsi per concorrere ad individuare un migliore  futuro per la nostra Zona!  ns           

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