GIOVANNI PASSANNANTE E SALVIA, SUO PAESE NATALE
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Giovanni Passannante nasce a Salvia (oggi Savoia di Lucania) il 19
febbraio 1849 da Pasquale e da Maria Fiore, ultimogenito di dieci figli
di cui 4 morti piccolissimi. Le misere condizioni della sua famiglia
avranno un’influenza decisiva sulla sua formazione. Giovanni passa i
primi anni dell’infanzia cercando lavoretti dai signori locali, per
mangiare. Esprime subito il desiderio di andare a scuola (una fame
frustrata di sapere che si porterà dietro per tutta la vita) ma le
condizioni economiche non lo rendono possibile, se non per pochissimo
tempo. Tuttavia il guardiano di greggi e il bracciante nei campi non
sono lavori per lui. Così abbandona Salvia e inizia la vita da vagabondo
che si condurrà fino alla fine. Va a Potenza a lavorare in un’osteria,
poi un generoso capitano dell’esercito, nativo di Salvia ma residente a
Salerno, lo prende con sè e gli dà anche un vitalizio con cui comincia a
comprarsi finalmente i primi libri. Legge Mazzini e i giornali, oltre
la Bibbia, e abbraccia le idee repubblicane che lo porteranno anche in
galera per due mesi. Ritorna per un po’ a Salvia e poi di nuovo a
Potenza dove lavora in un’osteria come cuoco. Ritorna a Salerno nel 1872
dove si iscrive alla Società operaia, portandola da 80 a 200 membri. A
Salerno, introducendosi nei circoli politici, strinse amicizia con
Matteo Melillo, esponente del liberalismo locale, che influì sulla sua
formazione politica. Nel febbraio 1878, forse per seguire il suo amico
Melillo si trasferì a Napoli, dove trovò lavoro, sempre come cuoco.
L’ideologia
repubblicana andò maturando in lui sempre più perché la sentiva più
vicina al popolo e ai suoi bisogni. Si rendeva conto che il popolo, solo
e indifeso, era vittima di soprusi e imposizioni. Le idee liberali del
Risorgimento non si erano concretizzate, l’unificazione non aveva
portato affatto quel benessere in cui il popolo sperava. Era necessario
cambiare forma di governo ed era necessario un gesto, un esempio che
doveva richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica.
L’attentato al re
Il 17 novembre 1878, Passannante attenta alla vita di Umberto I, in visita ufficiale alla città.
Sono
le ore 14,25 e Umberto I, re d’Italia, assieme alla moglie regina
Margherita, con la carrozza reale attraversa Napoli quando un uomo, si
slanciò dalla folla allo sportello della carrozza, saltò sullo scalino
del “montatorio” e cercò con un coltello di colpire il re”. L’uomo che
attentò o per meglio dire provò ad attentare, perché procurò delle
ferite del tutto superficiali ad un braccio del re usando un piccolo
temperino comprato al mercato in cambio della propria giacca è Giovanni
il Passannante, di anni 29, nativo di Salvia che al momento dell’attacco
gridò: «Viva Orsini, viva la repubblica universale.
L’attentatore
venne fermato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase
leggermente ferito da un taglio alla coscia destra quindi catturato e
condotto in questura dove fu sottoposto ad un lungo interrogatorio
durante il quale fu brutalmente torturato nel tentativo di fargli
confessare un’inesistente congiura sebbene avesse concepito l’attentato
ed agito da solo,
Molte furono le deposizioni da lui rese agli organi
di polizia e successivamente alla magistratura durante il corso
dell’istruttoria e del processo durato dal 18 novembre 1878 al 29 marzo
1879.
Dichiarò: “non appartengo né ho mai appartenuto ad alcuna
setta. Ho in dispregio l’Internazionale ed i cosiddetti Comunisti. Il
mio ideale è la Repubblica universale: però non sono aggregato ad alcuna
setta e penso ed opero per mio conto. Di vero, se avessi soci o fossi
stato un mandatario mi sarebbe stata apprestata più efficace arma per
portare a compimento il disegno di consumare il regicidio della cui
flagranza sono stato arrestato”.
La perizia psichiatrica alla quale fu sottoposto Passannante, sostenne la completa sanità di mente di Giovanni Passannante.
Salvia diventa Savoia di Lucania
Il 22 novembre il consiglio
comunale di Salvia per riparare allo sdegno per il “gesto criminoso”
diretto a privare l’Italia del suo Re e per dimostrare la profonda
dedizione al sovrano chiede che il paese sia autorizzato a mutare la sua
denominazione da Salvia in Savoia di Lucania.
Nel febbraio del 1879
un decreto reale esaudisce “il desiderio dei fedeli sudditi”: d’ora in
poi il paese si chiamerà Savoia di Lucania.
L’intera famiglia
dell’attentatore, composta dalla madre, due fratelli e tre sorelle –
colpevoli solo d’essere consanguinei del Passannante – furono arrestati
già il giorno dopo l’attentato e condotti nel manicomio criminale di
Aversa dove furono internati fino alla morte
Parenti e omonimi del Passannante dovettero lasciare il paese trasferendosi nei paesi limitrofi.
Gli anni di prigionia
Ciò che ne segue è un calvario
impressionante di torture e violenze. Il 7 Marzo 1879 Passanante è
condannato a morte, , sebbene il codice penale prevedesse la pena
capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento.
Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu
commutata in ergastolo che Passannante scontò in condizioni disumane.
Passannante
viene rinchiuso a Portoferraio, nell’isola d’Elba, in una piccolissima
cella, senza latrina, che nei primi anni di prigionia era addirittura
situata sotto il livello del mare (Passannante era alto circa 1,60 m, la
cella era alta solo 1,40 m.). Per dodici anni sopravvive ridotto a una
larva, nel buio totale, senza poter mai parlare con nessuno e in
completo isolamento, con ai piedi una catena di diciotto chili;
l’umidità, le infiltrazioni saline e lo scorbuto gli fanno perdere tutti
i peli, perdere il colore, gonfiare il corpo e lo riducono lentamente
alla follia.
In seguito alle proteste di alcuni giornalisti e
deputati che in visita al prigioniero ebbero modo di dire “questo non è
un castigo”…. è una vendetta peggiore del patibolo” una perizia decide
che il condannato non è sano di mente e così nel 1889 viene trasferito
al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, presso Pisa, dove morirà
, a 61 anni, il 14 febbraio 1910 a causa di una broncopolmonite,
abbandonato e dimenticato da tutti.
Decapitato dopo la morte
Dopo la sua morte il corpo, in ossequio
alle teorie lombrosiane miranti ad individuare supposte cause fisiche di
“devianza”, fu sottoposto ad autopsia e decapitato per poterne studiare
cranio e cervello che successivamente furono inviati all’Istituto
Superiore di Polizia presso il carcere giudiziario “Regina Coeli” di
Roma e da qui inviati nel 1936, assieme a suoi blocchi di appunti, al
Museo criminologico «G. Altavista» di Roma dove furono conservati ed
esposti al pubblico sino al 2007.
La permanenza dei resti di Passannante in esposizione presso il Museo
ha causato per diversi anni proteste ed interrogazioni parlamentari da
parte di chi riteneva ingiusto ritenerlo un criminale e che quindi
richiedeva di poter eseguire la loro traslazione da Roma al suo paese
natio Savoia di Lucania.
In difesa dell’anarchico intervenne anche
l’attore lucano Ulderico Pesce, già autore di un’opera teatrale a lui
dedicata dal titolo L’innaffiatore del cervello di Passannante: « Un
uomo che chiedeva pubblicamente l’avvento della repubblica, che
rivendicava il diritto all’assistenza, agli ospedali, alle scuole, alla
dignità dei lavoratori, non deve certamente essere tenuto nel museo del
crimine, perché certamente non era un criminale.»
Traslazione dei resti di Giovanni Passannante
Il giorno 10 maggio
2007, i resti di Giovanni Passannante sono stati rimossi dal Museo
criminologico di Roma per essere trasferiti al suo paese natale Savoia
di Lucania, dove sono stati tumulati in un loculo del cimitero sul quale
è stato posto un suo ritratto e le date di nascita e di morte (26
febbraio 1849 – 14 febbraio 1910).
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