Il Dott. Valerio Mignone è autore di una seria ed interessante ricerca riportata di seguito:
Perché la fucilazione di Padre Carlo da Celle di Bulgheria nel 1828 a
Maratea
Valerio Mignone
Nell’estate del 1828, tra il 25 maggio ed il 28 giugno, scoppiò nel Cilento
una insurrezione di aderenti a sette segrete, che mirava a riottenere la Costituzione
approvata e disdetta dal re Borbone nel 1820-1821. Il moto si diffuse lungo la
costa di Palinuro, ed al suo interno.
A rivendicare quella Costituzione fu, in particolare, il canonico Antonio
Maria De Luca aderente alla setta dei Filadelfi, già deputato alla Costituente
del 1820-‘21 per il Distretto di Vallo della Lucania. Alla insurrezione
aderirono anche Antonio Gallotti e la “banda” dei fratelli Capozzoli. Proprio
il Gallotti, ingenuamente, ebbe a svelare il segreto della insurrezione ad un interlocutore,
Carlo Jovane, considerato un confratello, e che era, invece, una spia
borbonica. Infatti, informato di ciò, il ministro della Polizia, Nicola
Intonti, vigilava, e già il 13 giugno fece arrestare alcuni ribelli.
Comunque, come stabilito, nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 1828, il
Gallotti e la banda Capozzoli disarmarono le Guardie comunali di Centola,
costringendole ad accompagnarli al Forte di Palinuro, nella convinzione di
trovarvi fucili, cannoni e munizioni; ma quasi nulla di ciò vi trovarono. Gli
insorti, tranne a San Giovanni a Piro, vennero accolti con entusiasmo in tutte
le località. A Camerota si associò un gruppo di ribelli guidati da Padre Carlo
di Celle Bulgheria.
Francesco I di Borbone dette ordine a Francesco Saverio Del Carretto, nelle
funzioni di alter ego del Re, di reprimere l’insurrezione. Incredibile a
dirsi, anche Del Carretto era stato iscritto alla Carboneria, ed era diventato
Capo di Stato Maggiore con Guglielmo Pepe; ma riuscì a far considerare la sua
adesione alla Carboneria come “infiltrazione” nella setta, per studiarne i
movimenti. Alla guida di 8.000 soldati, Del Carretto intervenne immediatamente;
e con efferatezza fece incendiare il villaggio di Bosco, che fu raso al suolo,
e - cancellato dall’elenco dei Comuni del Regno - fu aggregato a San Giovanni a
Piro.
Ormai consapevoli della inadeguatezza delle loro forze, il 1° luglio 1828,
il canonico De Luca e gl’insorti si arresero per evitare ulteriori stragi
proprio nel paese di De Luca, Celle di Bulgheria; e mons. De Luca scrisse al
suo vescovo di Policastro, Laudisio, di volersi consegnare. Il vescovo gli
rispose il 10 luglio 1828, rassicurandolo, e consegnò De Luca al tenente
Tipaldi, che lo arrestò.
Il vescovo Laudisio, con lettera dell’11 luglio da Roccagloriosa al
Ministro della polizia, scrisse: “avendo inteso a Lauria i disordini
avvenuti nella mia diocesi, mi sono affrettato a ritornare in essa onde
prestarmi pel servizio del Re nostro augusto padre e pel bene di questi
paesetti e infatti per misericordia di Dio e di Maria SS. Mi è riuscito di far
presentare al maresciallo Del Carretto il canonico De Luca, la presentazione
del quale ha liberato Celle dall’incendio al pari di Bosco, e tutti coloro di
questi miei paesi i quali presi con le armi alla mano furono costretti a
seguire l’orda”.
“Il maresciallo convocava novellamente nel 9 agosto la Commissione
marziale per proseguire nel suo feroce compito ed essa, riunitasi nello stesso
giorno del pari in casa Tipaldi, emanava il dì seguente alle ore 11 antimeridiane,
senza avere mai interrotta la seduta, un’altra sentenza a morte “il padre Carlo
da Celle, guardiano del Convento dei Cappuccini in Maratea, reo di cospirazione
settaria per distruggere e cambiare il governo, recatosi a tal fine in vari
Comuni adoperandosi di provvedere armi e di altri mezzi i faziosi masnadieri”.
Nella sentenza del 10 agosto 1828 si legge, tra l’altro: Padre Carlo era “figlio
spurio di un fratello del giustiziato canonico De Luca”; fu di tramite tra
il canonico suddetto ed i filadelfi del distretto di Vallo con “lettere
figurate ed allegoriche”. Era stato diramato in tutto il Regno l’invito ad
arrestare Padre Carlo; e dalle varie Intendenze arrivavano risposte; fu
arrestato presso il Convento di Lagonegro.
Condannato a morte, prima della fucilazione occorreva la dissacrazione di
questo giovane frate - che non aveva 29 anni! - da parte del vescovo. Maratea
apparteneva alla Diocesi di Cassano allo Jonio, la cui sede era vacante del suo
vescovo dal 1825. Il maresciallo Del Carretto mandò, per mezzo del capitano
Carrabba, al vescovo Laudisio - che si trovava a Lauria - una lettera con cui
lo invitava ad eseguire tale rito; e Laudisio il dì 8 agosto rispose di essere
pronto. Del Carretto si era prodigato per non far coincidere le esecuzioni con
ricorrenze regali; e l’11 agosto riferì al Ministro della Polizia Intenti “Per
i condannati a morte ho prescritto di eseguire …il padre Carlo da Celle
rimpetto la porta del proprio monastero in Maratea”.
Il 12 agosto 1828, dopo la dissacrazione nel locale della Congregazione
della Immacolata Concezione, Padre Carlo fu fucilato innanzi alla porta del
proprio Convento. La rapidità dell’esecuzione scosse gli stessi governanti;
tanto che il Ministero di Grazia e Giustizia, il 30 settembre 1828, ammonì il
maresciallo: “il condannato deve avere 24 ore di tempo per i soccorsi
religiosi”.
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