- Da Nessuno Tocchi Caino newsletter <noreply@nessunotocchicaino.it> - del 14/12/2024
LA VIOLENZA NON SI COMBATTE CON LE PENE. UNA LEZIONE DI
UMANITÀ DI GINO CECCHETTIN, BUONA PER DELMASTRO E ANCHE PER PAUSINI
Vincenzo Di Paolo
Durante una data del suo tour al Forum di Assago a Milano, Laura Pausini ha
lanciato dal palco un messaggio contro la violenza sulle donne. “Dare
l’ergastolo a un uomo che ha ucciso una donna è un gesto importante” ha detto
la cantante, aggiungendo: “non si può lasciare a casa un essere umano che
essere umano non è”. Pochi giorni prima, a far discutere erano state le parole
del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro che aveva espresso la sua
“intima gioia” nel sapere che le auto blindate della Polizia penitenziaria per
il trasporto di detenuti al 41-bis non lasciano respirare chi sta dietro il
vetro oscurato.
Sono dichiarazioni provenienti da persone appartenenti a mondi così distanti,
un rappresentante delle istituzioni e un’esponente del mondo della cultura e
dello spettacolo, ma riflettono un pensiero largamente diffuso, perché ogni
giorno nel dibattito pubblico e tra le nostre conversazioni sentiamo
affermazioni di questo tenore.
Gettare in carcere, chiudere in cella e buttare via la chiave, è il ritornello
che viene ripetuto soprattutto a commento dei fatti più spietati che la cronaca
ci propone.
Sono i segni e gli effetti di una società pervasa da un giustizialismo punitivo
e vendicativo che ci sta trascinando sempre più in basso, lontano da quel
“senso di umanità” che dovrebbe essere proprio di uno stato di diritto e che le
nostre madri e i nostri padri costituenti hanno voluto fissare nell’art. 27
della Costituzione come elemento imprescindibile rispetto alla funzione della
pena.
Così anche nel lancio di un messaggio positivo, quello contro la piaga sociale
della violenza sulle donne, può annidarsi la truculenza di un pensiero
ingiusto.
È difficile, certo, soprattutto quando parliamo di determinati tipi di crimini
e reati. C’è una fatica maggiore quando ci troviamo di fronte a vicende che
mostrano un male efferato e spietato. Però mai, nei confronti di nessuno,
dovrebbe venir meno la domanda su cosa ci rende uomini, cosa fa di noi un essere
umano. Siamo soltanto ciò che abbiamo commesso? No, non siamo nemmeno la
peggiore delle cose che abbiamo commesso.
Possiamo davvero permetterci di catalogare le persone, classificando chi è un
essere umano e chi non lo è? Dove ci porterebbe questo discorso?
L’utopia repressiva e la visione punitiva ci allontanano da quello che dovrebbe
essere il fine della pena, il reinserimento sociale e la rieducazione del
condannato.
La nostra società ha smesso di crederci, il giudizio e la condanna morale sovrastano
qualsiasi altro tipo di ragionamento o valutazione. Non c’è reinserimento
nell’ergastolo. Non c’è rieducazione nel carcere. C’è soltanto afflizione,
degrado, sofferenza. C’è soltanto la morte, con quella speciale misura di
liberazione anticipata concessa ai detenuti, il suicidio. Il numero impietoso
di persone che scelgono di togliersi la vita in carcere continua a salire. Nel
2024 contiamo ad oggi 83 suicidi. Non so se per qualcuno questa possa essere
“un’intima gioia”, ma la notizia di persone a cui è strappato il respiro lascia
ormai molti, troppi, nell’indifferenza totale. Per questo, dopo la pena di
morte, dobbiamo continuare a combattere contro la pena fino alla morte e contro
la morte per pena.
Il giusto sdegno provato di fronte ai delitti più atroci non può condurci a
invocare l’ergastolo come pena esemplare. Occorre disarmare certi pregiudizi e
chiedersi quale sia il tempo sufficientemente lungo per maturare una piena
coscienza della gravità di un reato ma non così lungo da impedire la concretezza
di un recupero sociale. L’ergastolo come gesto importante, l’ergastolo come
valore è il segno dell’irredimibilità del male che nega ogni speranza.
Il femminicidio è realmente una piaga che va combattuta anzitutto sul piano
culturale. Dal palco del Forum di Assago sarebbero potute arrivare altre parole
di condanna contro un impianto sociale che continua a generare una cultura che
legittima possesso, violenza, disparità. È un problema radicato nei
comportamenti, nei linguaggi, nelle azioni quotidiane, che coinvolge tutti, per
questo serve portare avanti un’azione pedagogica volta alla prevenzione della
violenza di genere, educando al rispetto, contro le discriminazioni.
“Come essere umano mi sento sconfitto”. Sono le affermazioni di Gino Cecchettin
dopo la pronuncia della sentenza di condanna per il femminicidio di sua figlia
Giulia. La sua è la testimonianza più forte, l’insegnamento più prezioso.
Separare il dolore dall’odio. Separare il reato – che rimane, in tutta la sua
brutalità ed efferatezza, così come resta il dolore – dall’uomo. Separare il
male dalla speranza. Abbiamo perso tutti come società, ci ha ricordato
Cecchettin: la violenza non si combatte con le pene.
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Fondazione Giulia Cecchettin
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