- Da www.talentilucani.it -
Autonomia differenziata. La Decisione della Corte
È quanto
i cittadini che, in ben 1.291 mila hanno firmato per il referendum
contro l’autonomia differenziata, si aspettano e meritano. Se un dubbio
ci fosse, nascerebbe dal fatto che , rispondendo ai ricorsi presentati
dalle Regioni- comprese quelli ostativi della Lombardia, Veneto,
Piemonte- che toccano gli articoli 1.2, 4.1 4.2 della legge 86/2024, il
ddl Calderoli, poichè la pronuncia risulta manipolativa, il testo
dettato dalla Corte sostituisce il testo originario, pur lasciando
sopravvivere la legge. Il quesito totale e quello parziale, di questa e
altre riforme, saranno oggetto di due distinte decisioni. La Cassazione
dovrà, innanzitutto, valutare se il quesito referendario si trasferisce
sul nuovo testo o no: invece per il quesito abrogativo in toto, la
Cassazione dovrà decidere su quel che resta dopo la sentenza e poiché ci
sono quasi 1.290. mila firme, i cittadini dovranno essere riconosciuti
nel diritto di fare il referendum che hanno chiesto. La Cassazione
potrebbe, forse, non dare il via al quesito parziale ma solo
all’abrogativo totale, restando poi, per la Corte, la
decisione sull’ammissibilità. Avevamo avuto le anticipazioni della Corte
Costituzionale lo scorso mese di novembre, attendevamo il deposito
della sentenza per leggere e approfondirne le motivazioni.
È una
sentenza molto importante – ugualmente lo sono le motivazioni espresse-
che va ad incrociare tutte i dubbi mossi da istituzioni e la
mobilitazione dei cittadini italiani. Un impegno, di questi ultimi,
durato anni, inizialmente quasi in sordina anche perché assolutamente
ignorato dalla informazione e dai media, è cresciuto per una sempre
maggiore consapevolezza dei rischi sottesi al progetto leghista di
autonomia differenziata. La pronuncia della Corte sui ricorsi presentati
da quattro regioni, Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, contro il ddl
Calderoli, e le motivazioni ora uscite sono di una chiarezza
inesorabile. Il ddl Calderoli , disegno di legge collegato, con un colpo
di mano strumentale per accelerarne l’approvazione, alla manovra
di finanza pubblica, avrebbe dovuto, secondo quanto è stato e continua
ad essere propagandato dalla Lega favorire la semplificazione delle
procedure, l’accelerazione procedimentale, la sburocratizzazione, la
distribuzione delle competenze, oltre che meglio conformare la spinta
alla ‘autonomia differenziata’ ai princìpi di ‘sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza’. Definiva i princìpi generali per
l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116,
terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali
di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, non previsto
l’intervento del Parlamento. Con queste mire il decreto si proponeva di
procedere all’ approvazione delle intese fra Stato e Regione, di
determinare i LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo
comma, della Costituzione; di trasferire le funzioni alle
regioni richiedenti (già in fila Veneto e Lombardia), per 23 materie.
tutte. Veniva sancito che la durata delle intese, con le medesime
modalità previste nell’articolo 2 del decreto, solo su iniziativa dello
Stato o della Regione interessata, potesse essere modificata ma anche
che alla scadenza del termine di durata, l’intesa si intendesse
rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o
della Regione. Una durata pressocché inestinguibile. Con la risoluzione
della Corte ci troviamo di fronte ad una decodifica che impegna su due
percorsi: da un lato il ddl Calderoli è stato svuotato nella sostanza;
di contro, però, “la questione di costituzionalità dell’intera legge
sull’autonomia differenziata”, posta dalle regioni ricorrenti, non
risulta fondata, visto il 116 del Titolo V della Costituzione,
modificata nel 2001. Ha considerato, per quanto riguarda la sostanza,
“illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo”,
elencando in particolare sette profili di incostituzionalità che non
solo riducono alla inesistenza il decreto ma ridisegnano, e non secondo
la lettura della Lega, i termini . Importantissimo è che, secondo la
Corte, “l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina
l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari
di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato
italiana”. Il ddl viene svuotato perché la devoluzione di funzioni
legislative e amministrative non può tradursi in una spartizione di
potere politico fra Stato e Regioni, ma deve avvenire in vista “del bene
comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra
Costituzione”. Dunque, la richiesta di singole funzioni va giustificata
da ogni Regione sulla base del principio di sussidiarietà, l’intesa tra
lo Stato e la Regione, e la successiva legge di approvazione
dell’intesa stessa, devono riguardare specifiche funzioni legislative
e amministrative, e non materie o ambiti di materie, come vorrebbero il
ddl Calderoli e i più convinti governatori leghisti sostenitori dello
spezzettamento dell’Italia. L’art. 116, infatti, si limita a prevedere
il trasferimento di “ulteriori forme e condizioni di autonomia” nelle
materie di potestà concorrente e in alcuni ambiti di competenza
esclusiva dello Stato, con un decentramento di specifiche funzioni–
come afferma il ricorso della regione Puglia – che determina
“un’intollerabile frattura dell’ordinamento. Cosa significa trasferire
specifiche funzioni, e non una materia nel suo complesso? Per esempio ,
che “non è possibile portarsi via l’Istruzione, magari mettendo mano ai
programmi, ma si può invece ottenere l’organizzazione territoriale dei
servizi scolastici”. Proprio su questo ambito, istruzione,
scuola, rappresenterebbero ‘materie’ il cui trasferimento non si
appoggerebbe a giustificazione alcuna. Peraltro, il trasferimento delle
competenze di intere materie scardinerebbe l’unitarietà dello Stato,
anche perché ‘non esiste alcun popolo regionale, ma la stessa A.D. può
esistere solo se armonizzata nel quadro complessivo della forma di Stato
italiana. “in molte di queste materie bisogna oggi affrontare sfide
globali” – basti pensare alla questione ambientale o alla transizione
energetica – “con le politiche comuni concertate in sede europea. Per
quanto riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali questi devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente. Non
è costituzionale che “la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani
del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. che
spezzettarle per ventuno Regioni”. Ne onsegue il quinto rilievo
di incostituzionalità la “possibilità di modificare, con decreto
interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei
tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in
caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello
stesso gettito”. Grave criticità che le risorse necessarie per
finanziare le funzioni devolute derivano dalla compartecipazione delle
Regioni con il gettito erariale maturato nel proprio territorio; sesto
punto, incostituzionale è pure aver previsto “la
facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie
della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con
conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della
Repubblica”. Regioni ed enti locali hanno un obbligo di partecipazione
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Inoltre,
“l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi
erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà
avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a
riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza,
liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle
spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello
stesso”. In proposito, il ricorso della regione Toscana ha sottolineato
che “il criterio della spesa storica (…) riflette e consente il
perdurare di profonde differenze territoriali, perché assume a parametro
di riferimento quanto si è speso in precedenza, e non quanto si
dovrebbe spendere”. Questo percorso di smantellamento degli elementi
fondamentali della Calderoli porta a presumere che il percorso di
referendum su oggetti parziali, coincidenti, possa fermarsi; non
quello totale. E la Corte, da parte sua, potrà senz’altro ritenere
plausibile il quesito abrogativo totale. Ne
è convinto il professoreemerito di Diritto costituzionale Massimo
Villone, presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale ,
Resta, a fronte di tutto, una ulteriore riflessione, ed é il professore
Azzariti a porcela con una lucidità degna di tutta la nostra
condivisione. Sono anni, forse ab origine che la Costituzione e il
sistema con la sua forma di Stato e di Governo sono messi sotto attacco.
Forse è il momento che la Costituzione sia sostenuta . Da un movimento
reale? Certo, soprattutto da un ‘popolo consapevole e cosciente che si
oppone all’ideologia dominante’ di stracciare una storia, una repubblica
fondata, a suo tempo, da valori condivisi ‘ da un popolo’. Di quel
popolo perso bisogna ritrovare le tracce, con la luce della Costituzione
e della partecipazione.
Nessun commento:
Posta un commento