lunedì 9 dicembre 2024

L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA ALLA LUCE E DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 -  Da  www.talentilucani.it  -



QUESTO REFERENDUM S’HA DA FARE!  

Autonomia differenziata. La Decisione della Corte


È quanto i cittadini che, in ben 1.291 mila hanno firmato per il referendum contro l’autonomia differenziata, si aspettano e meritano. Se un dubbio ci fosse, nascerebbe dal fatto che , rispondendo ai ricorsi presentati dalle Regioni- comprese quelli ostativi della Lombardia, Veneto, Piemonte- che toccano gli articoli 1.2, 4.1 4.2 della legge 86/2024, il ddl Calderoli, poichè la pronuncia risulta manipolativa, il testo dettato dalla Corte sostituisce il testo originario, pur lasciando sopravvivere la legge. Il quesito totale e quello parziale, di questa e altre riforme, saranno oggetto di due distinte decisioni. La Cassazione dovrà, innanzitutto, valutare se il quesito referendario si trasferisce sul nuovo testo o no: invece per il quesito abrogativo in toto, la Cassazione dovrà decidere su quel che resta dopo la sentenza e poiché ci sono quasi 1.290. mila firme, i cittadini dovranno essere riconosciuti nel diritto di fare il referendum che hanno chiesto. La Cassazione potrebbe, forse, non dare il via al quesito parziale ma solo all’abrogativo totale, restando poi, per la Corte, la decisione sull’ammissibilità. Avevamo avuto le anticipazioni della Corte Costituzionale lo scorso mese di novembre, attendevamo il deposito della sentenza per leggere e approfondirne le motivazioni. 
 
 
 
È una sentenza molto importante – ugualmente lo sono le motivazioni espresse- che va ad incrociare tutte i dubbi mossi da istituzioni e la mobilitazione dei cittadini italiani. Un impegno, di questi ultimi, durato anni, inizialmente quasi in sordina anche perché assolutamente ignorato dalla informazione e dai media, è cresciuto per una sempre maggiore consapevolezza dei rischi sottesi al progetto leghista di autonomia differenziata. La pronuncia della Corte sui ricorsi presentati da quattro regioni, Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, contro il ddl Calderoli, e le motivazioni ora uscite sono di una chiarezza inesorabile. Il ddl Calderoli , disegno di legge collegato, con un colpo di mano strumentale per accelerarne l’approvazione, alla manovra di finanza pubblica, avrebbe dovuto, secondo quanto è stato e continua ad essere propagandato dalla Lega favorire la semplificazione delle procedure, l’accelerazione procedimentale, la sburocratizzazione, la distribuzione delle competenze, oltre che meglio conformare la spinta alla ‘autonomia differenziata’ ai princìpi di ‘sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza’. Definiva i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, non previsto l’intervento del Parlamento. Con queste mire il decreto si proponeva di procedere all’ approvazione delle intese fra Stato e Regione, di determinare i LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione; di trasferire le funzioni alle regioni richiedenti (già in fila Veneto e Lombardia), per 23 materie. tutte. Veniva sancito che la durata delle intese, con le medesime modalità previste nell’articolo 2 del decreto, solo su iniziativa dello Stato o della Regione interessata, potesse essere modificata ma anche che alla scadenza del termine di durata, l’intesa si intendesse rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione. Una durata pressocché inestinguibile. Con la risoluzione della Corte ci troviamo di fronte ad una decodifica che impegna su due percorsi: da un lato il ddl Calderoli è stato svuotato nella sostanza; di contro, però, “la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata”, posta dalle regioni ricorrenti, non risulta fondata, visto il 116 del Titolo V della Costituzione, modificata nel 2001. Ha considerato, per quanto riguarda la sostanza, “illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo”, elencando in particolare sette profili di incostituzionalità che non solo riducono alla inesistenza il decreto ma ridisegnano, e non secondo la lettura della Lega, i termini . Importantissimo è che, secondo la Corte, “l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”. Il ddl viene svuotato perché la devoluzione di funzioni legislative e amministrative non può tradursi in una spartizione di potere politico fra Stato e Regioni, ma deve avvenire in vista “del bene comune della società  e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. Dunque, la richiesta di singole funzioni va giustificata da ogni Regione sulla base del principio di sussidiarietà, l’intesa tra lo Stato e la Regione, e la successiva legge di approvazione dell’intesa stessa, devono riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative, e non materie o ambiti di materie, come vorrebbero il ddl Calderoli e i più convinti governatori leghisti sostenitori dello spezzettamento dell’Italia. L’art. 116, infatti, si limita a prevedere il trasferimento di “ulteriori forme e condizioni di autonomia” nelle materie di potestà concorrente e in alcuni ambiti di competenza esclusiva dello Stato, con un decentramento di specifiche funzioni– come afferma il ricorso della regione Puglia – che determina “un’intollerabile frattura dell’ordinamento. Cosa significa trasferire specifiche funzioni, e non una materia nel suo complesso? Per esempio , che “non è possibile portarsi via l’Istruzione, magari mettendo mano ai programmi, ma si può invece ottenere l’organizzazione territoriale dei servizi scolastici”. Proprio su questo ambito, istruzione, scuola, rappresenterebbero ‘materie’ il cui trasferimento non si appoggerebbe a giustificazione alcuna. Peraltro, il trasferimento delle competenze di intere materie scardinerebbe l’unitarietà dello Stato, anche perché ‘non esiste alcun popolo regionale, ma la stessa A.D. può esistere solo se armonizzata nel quadro complessivo della forma di Stato italiana. “in molte di queste materie bisogna oggi affrontare sfide globali” – basti pensare alla questione ambientale o alla transizione energetica – “con le politiche comuni concertate in sede europea. Per quanto riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali questi devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente. Non è costituzionale che “la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. che spezzettarle per ventuno Regioni”. Ne onsegue il quinto rilievo di incostituzionalità la “possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito”. Grave criticità che le risorse necessarie per finanziare le funzioni devolute derivano dalla compartecipazione delle Regioni con il gettito erariale maturato nel proprio territorio; sesto punto, incostituzionale è pure aver previsto “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Regioni ed enti locali hanno un obbligo di partecipazione alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Inoltre, “l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso”. In proposito, il ricorso della regione Toscana ha sottolineato che “il criterio della spesa storica (…) riflette e consente il perdurare di profonde differenze territoriali, perché assume a parametro di riferimento quanto si è speso in precedenza, e non quanto si dovrebbe spendere”. Questo percorso di smantellamento degli elementi fondamentali della Calderoli porta a presumere che il percorso di referendum su oggetti parziali, coincidenti, possa fermarsi; non quello totale. E la Corte, da parte sua, potrà senz’altro ritenere plausibile il quesito abrogativo totale. Ne è convinto il professoreemerito di Diritto costituzionale Massimo Villone, presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale , Resta, a fronte di tutto, una ulteriore riflessione, ed é il professore Azzariti a porcela con una lucidità degna di tutta la nostra condivisione. Sono anni, forse ab origine che la Costituzione e il sistema con la sua forma di Stato e di Governo sono messi sotto attacco. Forse è il momento che la Costituzione sia sostenuta . Da un movimento reale? Certo, soprattutto da un ‘popolo consapevole e cosciente che si oppone all’ideologia dominante’ di stracciare una storia, una repubblica fondata, a suo tempo, da valori condivisi ‘ da un popolo’. Di quel popolo perso bisogna ritrovare le tracce, con la luce della Costituzione e della partecipazione.

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