Mauro Armando Tita
 
 
 
Dopo il Nonno Giuseppe, estroso capobanda dell’orchestra Giuseppe Verdi di Ruvo del Monte, Melomane incallito e grande conoscitore delle celeberrime opere verdiane: “Tornatore, Rigoletto e Traviata”…si passa ad un’altra tragica storia familiare, quella vissuta dalla mia Ava, la Brigantessa Maria Giovanna Tito. Più avanti spiegherò l’arcano della modifica del cognome da Tito a Tita. Se “aleggia” la paura di uno scarso peso politico della Basilicata lo dobbiamo a una “memoria paralizzante” frutto delle feroci repressioni militari piemontesi durante il brigantaggio. (vedi L. 1409 del 15 agosto 1863, meglio nota come Legge Pica) E’ la perspicace tesi sostenuta dal caro amico Andrea Di Consoli (…con il quale abbiamo condiviso tanti reportage e tanti editoriali per oltre dieci anni nella stessa Comunità giornalistica). Non vanno dimenticati i tribunali militari dell’epoca che agivano senza possibilità per gli imputati di avvalersi del contradditorio, le sentenze di morte, grazie alla surrichiamata legge Pica erano eseguite quasi immediatamente. Non a caso la storiografia ufficiale non è ancora in grado di stabilire il numero dei morti , anche se è accertata la cifra di 30mila persone, tra morti in combattimento, giustiziati e vittime di esecuzioni extragiudiziali. 
 
 
 
Alle donne dichiarate brigantesse, per via della loro inferiorità , venivano comminati svariati anni di lavori forzati . Da non tralasciare il modello di “polizia coloniale” posto in essere dall’esercito piemontese che ha operato spregiudicatamente e selvaggiamente ai danni delle popolazioni meridionali . A tal proposito la prestigiosa rivista bimestrale “Conoscere La STORIA” Sprea Editori, riparla insistentemente di Carmine Crocco e delle Brigantesse Filomena Pennacchio, Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito, immortalate in una foto che ha fatto il giro del mondo in tante Mostre fotografiche aventi per oggetto il Brigantaggio. Maria Giovanna Tito nativa di Ruvo del Monte, mia ava, è quella sdraiata, la più bella del Gruppo(consentitemi un po’ di “partigianeria” familiarE ). A conferma della presenza dei Tito a Ruvo del Monte, le “Notizie Storiche” di Mons. Giuseppe Maria Ciampa richiamano alla memoria l’Arciprete Don Raffaele TITO, vissuto nel lontano 1600. Conosciamo il saccheggio e il massacro compiuto dalla sanguinaria “Banda Crocco”, in quel di Ruvo del Monte, grazie alla ricerca dello storico di origini ruvesi della Sapienza di Roma, Massimiliano Mattei . “Il mattino del 10 agosto 1861 il paese lucano di Ruvo del Monte venne messo a ferro e fuoco da una banda di briganti guidata da Crocco. Nel lasso di poche ore si susseguirono una serie di eventi tragici e delittuosi che segnarono in maniera indelebile la vita della Comunità locale del tempo” Maria Giovanna Tito ragazza bella e prosperosa venne rapita e sedotta dal Crocco. Ridotta in stato di schiavitù e costretta a seguirlo nelle sue azioni brigantesche finisce per innamorarsene per quella condizione psicologica che oggi è classificata come “Sindrome di Stoccolma”.  Quel particolare stato psicologico che può interessare la vittima di un sequestro o di un abuso ripetuto, che, in maniera apparentemente paradossale, comincia a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento. L’Innamoramento nutrito dalla Maria Giovanna Tito nei confronti del Crocco è la plastica conferma della Sindrome di Stoccolma.  Il dramma delle Brigantesse è dramma dell’equilibrio familiare , dramma di madri senza più figli, è dramma di donne disperate che ribaltano il ruolo stereotipo di rassegnazione e di sudditanza della donna meridionale dell’ottocento.  Queste donne determinate si dimostrano capaci di affiancare con coraggio i propri uomini e di partecipare attivamente alle rivolte contadine dell’epoca. Maria Giovanna Tito abbandonata da Crocco continuò ad operare nelle bande “brigantesche” fino al 1864 quando fu arrestata su delazione di Filomena Pennacchio.  Memorabile fu la sua partecipazione al conflitto contro il 20° Battaglione Bersaglieri di Piemonte e contro gli Ussari di Piacenza presso Calitri l’8 Maggio 1863. Non tradì mai, scontò i suoi anni di galera in un “religioso” silenzio senza mai manifestare alcun pentimento. Fu una fedelissima. Perfida e determinata in “battaglia” si comportò da vera sanguinaria tanto da meritare l’appellativo di “ Iena”. Ripudiata e disconosciuta con disprezzo dalla famiglia, la Storia e la Comunità ruvese persero le sue tracce. Ora grazie alle fonti storiche dettagliatamente analizzate possiamo svelare l’arcano e risolvere definitivamente il mistero della modifica del cognome da Tito a Tita avvenuto nel lontano 1865. Sono stati i miei avi a prendere le distanze e a voler cancellare “l’ignominia” di quel cognome. Non ci fu alcun refuso anagrafico. Il “pungente e acuminato “commento di mio Nonno Mauro lo conferma amaramente: “Maria Giovanna Tito non ci appartiene, hanno fatto bene i nostri congiunti a disprezzarla e a disconoscerla…I parenti che io riconosco sono i miei nipoti …Mauro Tita, affermato Notaio a Firenze e Michele Tita, Alto Magistrato a Torino”. La storia del nostro cognome modificato è strettamente connesso con la nostra ava, la Brigantessa Maria Giovanna Tito e al suo conseguente arresto, avvenuto alla fine del novembre del 1864. Non è deduzione è l’estremo tentativo “riuscito” di raccontare un maldestro riscatto familiare dopo anni di sofferenza ”indotta”. Ho cercato di conoscere e scoprire gli eventi storici accaduti nel nostro “autoctono” passato, ignorati e dimenticati dalla Storia ufficiale e rimossi dalla “storiografia” locale.  Maria Giovanna Tito pur con il disprezzo , il disconoscimento e il ripudio familiare ci appartiene.  Appartiene alla nostra famiglia e ai miei avi, appartiene alla Comunità ruvese e lucana e, per dirla, alla Carlo Levi, rappresentò brutalmente un eccesso di eroica follia, un desiderio di morte e di distruzione senza speranza di vittoria.  Qui concludiamo il racconto sulle Brigantesse, in primis, la mia ava, Maria Giovanna Tito, che non meno dei loro uomini o dei loro capi scrissero un capitolo cruento nella storia del nostro Mezzogiorno, della nostra Basilicata, del nostro Vulture e del “suo” hinterland Irpino… (Calitri).
 
Mauro Armando TITA – Sociologo e Saggista