Nel centenario del Governo Nitti ripropongo qui l'intenso ricordo dello statista nelle parole del mio compianto amico, Dott. Sergio De Nicola:
Dal libro di Sergio De Nicola:
Maratea … parliamone ancora
Maratea … parliamone ancora
Francesco Saverio
Nitti
ricordo di una presenza che ci onora
È un fascino arcano quello che si percepisce aggirandosi nel
parco di Villa Nitti ad Acquafredda di Maratea propiziato forse da un silenzio
strano impregnato dal peso della storia e dai drammi della vita.
Perfino il canto della natura che un mare trasparente continua a
vibrare col suo frangersi sugli scogli sottostanti o il richiamo penetrante di
un merlo in amore riesce a diradare quel velo di mestizia che avvolge
l’abbandono dei luoghi e l’attuale irriverente degrado prodotto dall’uomo.
Qui appunto, a strapiombo sul mare, in un angolo di costa simile
a quello amalfitano, tanto caro alla moglie Antonia, Francesco Saverio Nitti
(Melfi 19 luglio 1868) volle la sua dimora affinché divenisse luogo fecondo di
studio e di riposo.
Nel 1908, perciò, comprò da un certo Marsicano una vecchia
costruzione edificata sul basamento
circolare di una torre
o ( così come si pensa) di un antichissimo tempio fortificato.
Con i lavori di ampliamento e di attrezzatura del parco, sotto
la guida dell’architetto Rinaldo, il complesso edilizio, ben inserito nel
paesaggio, assunse stili architettonici differenti caratterizzati da un chiaro
linguaggio liberty, da cenni di gusto barocco e neo-gotico con portali di forzata
impronta neo-classica che danno al fabbricato un fascino tutto particolare
tanto da farne oggetto di un francobollo nell’emissione dedicata alle ville
d’Italia nell’ottobre del 1985.
In questa villa di Acquafredda di Basilicata, così come il
Nitti, in genere, usava far precedere la datazione dei suoi scritti, si
anticipavano i costumi dell’occidente.
Era un luogo, come scrive Giorgio Amendola nel suo volume Una scelta di vita, di incontro dei grandi
intellettuali meridionali che non erano
restati prigionieri della vecchia pigrizia ed arretratezza meridionale, ma che
avevano raggiunto, attraverso la cultura, l’Europa.
In questa villa, dove i Nitti trascorrevano abitualmente i mesi
estivi e ininterrottamente i due anni precedenti l’esilio, videro la luce opere
tradotte in varie lingue come: Europa
senza pace (1921), La decadenza
d’Europa ( 1922) e La tragedia d’Europa (1923).
Nella casa, sempre piena di gente, regnava sovrana donna
Filomena, figlia dello statista: era la custode di ogni chiave e della dispensa
che chiamava siluruficio per la
particolare forma circolare di tale ambiente.
Essa vi confermò la patriarcale e
solare aria casalinga tipica della cultura della borghesia contadina lucana.
La tavola era quasi sempre imbandita,
ad essa partecipavano non solo gli illustri studiosi che ad Acquafredda li
raggiungevano, ma anche gli abitanti del luogo con i quali lo statista e i suoi
riuscivano ad intrattenere rapporti semplici e cordiali.
Le donne di casa Nitti, che avevano la capacità signorile di
adeguarsi alla cultura semplice degli abitanti del posto, non disdegnavano di
partecipare a piccole festicciole o, in comitiva, a escursioni sulle colline
del luogo, mentre lo statista, con pari dignità, affrontava, talvolta fino ad
ora inoltrata, discorsi di politica ed economia o di agricoltura e pesca nel
rispetto della cultura degli occasionali ospiti con i quali veniva
a trovarsi.
Tutti gli interlocutori di
Acquafredda, che ho incontrato, mi hanno parlato di un Nitti particolarmente
loquace, dall’ironia sottile ma molto rispettoso e cordiale con tutti; privo di
serbare rancore anche verso quei fascisti locali che bonariamente aderirono al
regime che lo costrinse all’esilio e che al ritorno, appena giunto al Acquafredda, volle per primi incontrare in segno di riconciliazione
e di rinnovata amicizia.
Né disdegnò, poi, nell’ambito della sua attività politica ed intellettuale, di aiutare qualcuno che sul posto aveva
particolare necessità rifuggendo, però, da quella cultura clientelare e di
scambio che ha contrassegnato il comportamento di tanti politici meridionali.
Particolarmente affettuoso è, ancora oggi, il ricordo di Maria
Rosaria Massimilla, figlia dei custodi della villa.
Aveva sei
anni nel 1953, periodo dell’ultimo soggiorno dello statista ad Acquafredda .
Racconta, non senza emozione, che andava a giocare con lui nella
biblioteca, ricca di oltre 10.000 volumi, attratta anche da una statua bronzea
di Mercurio che troneggiava su un piedistallo marmoreo, e che il giorno in cui
F.S. Nitti lasciò Acquafredda per non farvi più ritorno, quasi presaga di non vedere più il vecchio nonno gli nascose il bastone, necessario compagno dei suoi
passi, facendogli rischiare di perdere il treno che lo avrebbe dovuto portare a
Roma.
Ho incontrato, poi, di recente a Sapri il dottor Domenico
Crivella, figlio di Giuseppe, imprenditore edile, grazie al quale F.S. Nitti,
nel 1923 riuscì a sfuggire ad una aggressione
squadristica ma che fu preludio della devastazione della sua dimora romana avvenuta,
poi, il 29 novembre dello stesso anno.
Col dottor Crivella ho potuto ricostruire tale
episodio, variamente raccontato e distorto negli anni, in tutta la sua
veridicità e dinamica avendolo memorizzato dal racconto del padre.
Era una uggiosa giornata di febbraio
quando allo stupito gestore del bar sito in Sapri in via Cassandra si presentò un gruppo di
camicie nere che dissero di essere appena giunti in macchina da Barletta.
Erano armati di fucili e di bombe a mano e chiesero l’indicazione
per raggiungere
nel modo più facile Acquafredda.
Intuite le loro intenzioni, questi iniziò a discutere in
sintonia con essi, con lo scopo di far perdere loro del tempo, mentre con
urgenza mandò a chiamare il sig. Giuseppe Crivella, che sapeva intimo di Nitti.
Questi, recatosi sul posto, ebbe la
certezza dei loro propositi e, con altri amici, convinsero gli squadristi di
raggiungere la località lucana, essendo motorizzati attraverso la via carrabile
che passava per San Costantino di
Rivello, Trecchina, Maratea Centro non essendo stato ancora tracciato il tratto
Sapri-Acquafredda.
Tale indicazione convinse le camicie nere anche perché
Acquafredda non era comodamente raggiungibile per altra via essendo il mare
agitato e il percorso pedonale particolarmente
accidentato.
Gli stessi esclusero, per opportunità, di non servissi dei treni
forse perché avrebbero trovato difficoltà per un loro immediato ritorno a Sapri
dopo aver compiuto la loro missione.
Mentre i fascisti partivano, ignari del lungo e tormentato
percorso, il Crivella corse alla stazione di Sapri, si confidò con un amico
ferroviere e lo pregò di condurlo con una locomotiva o
con un carro attrezzi, ad Acquafredda.
Qui giunto trovò lo statista che con il maresciallo dei
carabinieri De Dominicis, addetto alla sua sicurezza
personale, era tranquillamente intento a potare delle rose e lo
avvisò del pericolo incombente.
Giunti dopo molte ore, i fascisti trovarono l’atrio prospiciente la villa pieno di gente che il Crivella ivi aveva radunato e con arroganza chiesero
di incontrare Nitti che sapevano sul posto così come da Roma era stato loro
comunicato.
Il Crivella, presentatosi questa volta come custode, disse che
lo statista era fuori sede e si oppose con forza alle loro prepotenti richieste
di perquisire la villa non avendone loro l’autorità nè
lui l’autorizzazione da parte del padrone di fare entrare sconosciuti in casa.
F.S. Nitti, nel contempo, aveva trovato
rifugio in un’alcova in prossimità di uno scoglio indicato col toponimo Santu Petu per
un antico tempietto, che, si diceva, ivi esistesse in onore di S. Pietro,
mentre la moglie fortunatamente non era ad Acquafredda essendosi recata per
affari a Sapri .
In un clima di crescente tensione, tra urla e minacce, la
situazione stava velocemente degenerando e i fascisti, constatata
la particolare determinazione degli astanti, risalirono in macchina minacciando
di far presto ritorno.
Ho cercato di raccontare, in questo mio scritto, solo quanto si
ricorda della presenza di questo grande statista della
nostra regione ad Acquafredda.
Qualcuno si aspettava che la sua presenza avesse portato
maggiore fortuna agli abitanti del luogo, ma F.S.
Nitti non era l’uomo del particolare, aveva una visione ampia dell’economia e
della politica che, se attuata, avrebbe sicuramente segnato diversamente in
meglio la storia economica del nostro mezzogiorno e quindi dell’ Italia.
Per la sua coerenza, d’altronde, e per il suo scarso interesse a
compromessi di ogni tipo, fu l’unico politico di spicco, che tornato
dall’esilio e dalle galere naziste, non fece, nell’Italia repubblicana
dell’immediato dopoguerra, fortuna politica.
Scriveva: Io non ho mai appartenuto ad alcuna massoneria in alcun momento
della mia vita ed in alcun paese, per la mia invincibile avversione per ogni
cosa che limiti la mia libertà di pensiero e di azione.
Morì a Roma alle ore 22.00 del 20 febbraio 1953.
Ai suoi funerali parteciparono le più alte autorità dello stato,
una delegazione della provincia di Potenza, del comune di Melfi,
dell’Università di Napoli e l’associazione partigiani
d’Italia.
La sua salma riposa, nella tomba di famiglia, al cimitero del Verano.
-Da "Il Sirino" Febbraio 2004-
Nessun commento:
Posta un commento