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MAHSA AMINI e HADITH NAJAFI
"... Sono due le guerre: da un lato la proprietà della terra diventa titolo identitario e potere, dall’altro la donna, oggetto simbolico come la terra, ha il potere riproduttivo e va controllata..."
Lunedi, 03/10/2022 - Giovani e meno giovani, gli uomini vanno a farsi ammazzare per una passione di guerra (stupri compresi) condivisa con i loro padri mentre altri giovani uomini fuggono all’estero per paura della coscrizione obbligatoria. Intanto in Iran giovani donne vengono arrestate e portate alla stazione di polizia dove vanno in coma per essere state “vestite in modo inappropriato” a giudizio del corpo della Polizia Morale iraniana: Masha Amini muore e Hadith Najafi viene uccisa con colpi precisi al capo da cui ha fatto scendere libera la chioma.
Sono due le guerre: da un lato la proprietà della terra diventa titolo identitario e potere, dall’altro la donna, oggetto simbolico come la terra, ha il potere riproduttivo ma anche dove la scolarizzazione ha insegnato la biologia scientifica non può dare identità ai figli, va controllata e giuridicamente non è “capace” di libertà.
Il
“velo”, chiamiamolo così anche se “sembra” coprire i capelli, in realtà
è un simbolo, che anche alle emancipate impone la subalternità del
genere che in teoria ha nella riproduzione il potere più grande di
tutti. Il costume vorrebbe che la donna accettasse il suo “destino” di
vivere senza “esistere”, senza avere storia. Anche le professioniste e
le politiche hanno studiato i testi dello stesso diritto, le stesse
teologie, le stesse filosofie, e le scienziate ignorano le colleghe del
passato.
In Iran da decenni nelle città le donne “leggono il simbolo” per quello
che rappresenta nella loro tradizione e cercano pratiche politiche
proprie. L’élite femminista del secolo scorso, nell’onda travolgente
della rivoluzione russa, colse nei valori comunisti una prospettiva di
liberazione insperata per le donne (prima di loro si erano illuse le
stesse russe) e il movimento femminista sostenne la legittimità
dell’abbandono del velo in sintonia con i comunisti iraniani che
dovevano fondare il partito comunista iraniano, ilTudeh sempre eretico.
Poi le cose non secondarono le aspettative e la tradizione recuperò le
usanze, senza eccessi costrittivi; quando salì al trono Reza Pahlavi la
modernizzazione trovò le donne pronte ad abbandonare il velo e andare
all’università, male politicizzate di sinistra, per rifiuto
dell’adeguamento filoamericano ai valori occidentali recuperarono il
valore politico del velo. All’arrivo di Khomeini, 1978, l’integralismo
dei pasdaran e il ritorno alla teocrazia misogina provocarono un’altra
reazione uguale e contraria contro il velo imposto. Con i pasdaran non
era il caso di raccontare barzellette, ma le donne sfidarono le frustate
che prontamente la “Guida Suprema” aveva riesumato istituendo la
polizia “morale”. Oggi nelle proteste nei paesi islamici le donne
manifestano che il coraggio e la capacità di resistenza e di
opposizione al dispotismo può aprire la via ad uomini che aspirano al
rinnovamento politico e anche l’ex-presidente moderato Hassan Rouhani
(sconfitto alle elezioni dello scorso anno) ha protestato per le
repressioni mortali in corso nelle città iraniane. Ma proprio la
vittoria nelle recenti dell’ala islamica intollerante rende fragile la
volontà di opposizione da parte dell’élite illuminata, che sa di essere
minoranza. E che la causa della libertà abbia il simbolo della chioma libera di una donna non giova.
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