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LA SOLIDARIETA' E' REATO, 13 ANNI A LUCANO. LUI: "NEMMENO A UN MAFIOSO".
L’ex sindaco di Riace condannato per la gestione dell’accoglienza a
13 anni e 2 mesi di carcere: «È tutto finito, sono morto dentro»
di Simona Musco Giovedì 30 settembre 2021
"Tredici anni e due mesi. «Nemmeno un mafioso viene condannato a tanto»,
commenta Domenico Lucano all’uscita del Tribunale di Locri, che lo ha
giudicato colpevole per tutti i reati contestati dalla procura. Tranne
che per la concussione, il reato più infamante tra quelli contestati, e
il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accuse dalle quali è
stato assolto perché il fatto non sussiste, mentre si è estinta per
prescrizione l’accusa di turbata libertà degli incanti. Accuse, le
ultime due, che avevano fatto finire l’ex sindaco di Riace ai
domiciliari il 2 ottobre 2018, ponendo una pietra tombale sulla storia
del borgo dell’accoglienza famoso e studiato in tutto il mondo. Per il
resto, il collegio presieduto da Fulvio Accurso non gli ha risparmiato
nulla: il tribunale lo ha riconosciuto colpevole di associazione a
delinquere – finalizzata a commettere «un numero indeterminato di
delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il
patrimonio)» -, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche, abuso d’ufficio, falsità materiale, peculato e falsità
ideologica. E lo ha fatto andando perfino oltre le richieste avanzate
dal pm Michele Permunian, che per il “curdo” aveva invocato 7 anni e 11
mesi, definendolo il «dominus assoluto» dell’accoglienza, consapevole
«di trasgredire le regole» per «interessi di natura politica».
Si chiude così il processo al simbolo per eccellenza dell’accoglienza,
quello alla quale tutti, da destra a sinistra, hanno fatto la guerra, a
partire da Marco Minniti per finire a Matteo Salvini. Vincendola, da
quel che si comprende da una sentenza che ha condannato 18 imputati su
27, giudicati colpevoli di aver accolto i migranti. Ciò nonostante il
gip avesse fortemente criticato le accuse, parlando di «vaghezza e
genericità» e sottolineando come qualsiasi riferimento a «collusioni ed
altri mezzi fraudolenti che avrebbero condotto alla perpetrazione
dell’illecito si risolve in formula vuota, ossia priva di un reale
contenuto di tipicità». Marchiane inesattezze, così aveva detto il
giudice, secondo cui «gran parte delle conclusioni cui giungono gli
inquirenti appaiono o indimostrabili, perché allo stato poggianti su
elementi inutilizzabili (…) o presuntive e congetturali o sfornite di
precisi riscontri estrinseci». Per Lucano i giudici hanno stabilito
anche il pagamento di quasi un milione di euro, una cifra enorme per un
uomo praticamente indigente. «Non ho tutti questi soldi – ha dichiarato
in piazza Fortugno dopo la lettura del dispositivo -. Mia moglie fa le
pulizie in casa di altri. Non ho proprietà, non ho nulla. Non capisco.
Ho visto un elenco di cifre enormi, a me mancano i soldi per vivere,
come posso estinguere questa cosa? È inaudito». Una situazione di
povertà più volte emersa nel corso del processo – nemmeno un euro è
stato infatti trovato sui conti dell’ex sindaco che dopo l’arresto non
ha più avuto un lavoro -, ed evidenziata dai suoi avvocati durante le
arringhe conclusive: «Mimmo Lucano vive di stenti, la sua condizione è
incompatibile con la commissione di qualsiasi reato», avevano affermato
Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, che lo hanno difeso gratis. Nulla da
fare: per il tribunale la truffa è provata, quei soldi da qualche parte
saranno.
Poco importa che Lucano non abbia un centesimo in tasca. «Ho speso la
mia vita rincorrendo degli ideali, contro le mafie. Ho fatto il sindaco
dalla parte degli ultimi, dei rifugiati – ha commentato l’ex primo
cittadino -. Mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia
terra, per l’immagine negativa che ha sempre avuto. Un’esperienza
fantastica, ma oggi devo prendere atto che davvero finisce tutto», ha
spiegato, aggiungendo di aspettarsi un’assoluzione «con formula ampia».
La condanna è arrivata a tre giorni dalle elezioni regionali, che lo
vedono impegnato nelle liste a sostegno di Luigi de Magistris. Ma ora
l’avventura politica per lui è finita: la legge Severino gli impedisce
di poter essere eletto, anche se venisse votato in massa. Lucano, prima
di lasciare Locri, non ha negato di considerare il suo sogno ormai
finitio. «Oggi è l’epilogo per me. È un momento difficile – ha
evidenziato -, ma la dignità non mi fa dimenticare la riconoscenza che
devo avere per tutti quelli che si sono occupati della mia vicenda. Non
voglio disturbare più nessuno, mi ritiro da tutto. Non mi importa più,
voglio solo evitare dispiaceri ai miei familiari e ai miei amici, se
devo morire, non c’è problema. Io sono morto dentro oggi. Non c’è pietà,
non c’è giustizia». Per l’ex sindaco si è trattato di un ribaltamento
della realtà: «Quando sono tornato dalle misure cautelari, perché mi
avevano sospeso da sindaco e cacciato da Riace, i rifugiati mi
aspettavano. Adesso Riace è finita». Per i magistrati di Locri, invece,
ai migranti sarebbero andate solo le briciole, nonostante le
manifestazioni d’affetto e le lacrime di chi a Riace, grazie a Lucano,
aveva trovato una casa scappando da morte e devastazione. «Valutate voi
con la vostra intelligenza se si tratta di un’ingiustizia», ha concluso.
Per Pisapia e Daqua si tratta di «una sentenza lunare e una condanna
esorbitante che contrastano totalmente con le evidenze processuali.
Oltre tredici anni di carcere, per un uomo come Mimmo Lucano che vive in
povertà e che non ha avuto alcun vantaggio patrimoniale e non
patrimoniale dalla sua azione di sindaco di Riace e, come è emerso nel
corso del processo si è sempre impegnato per la sua comunità e per
l’accoglienza e l’integrazione di bambini, donne e uomini che sono
arrivati nel nostro Paese per scappare dalle guerra, dalle torture e
dalla fame – hanno spiegato -. È difficile comprendere come il Tribunale
di Locri non abbia preso nella giusta considerazione quanto emerso nel
corso del dibattimento, durato oltre due anni, che aveva evidenziato una
realtà dei fatti ben diversa da quella prospettata dalla pubblica
accusa. Per ora purtroppo possiamo solo sottolineare che non solo la
condanna, ma anche l’entità della pena inflitta a Mimmo Lucano sono
totalmente incomprensibili e ingiustificate e aspettare le motivazioni
della sentenza per poter immediatamente ricorrere in appello nella
convinzione che i successivi gradi di giudizio modificheranno una
decisione che ci lascia attoniti». Soddisfatto, invece, il procuratore
di Locri, Luigi D’Alessio: «Le sentenze si commentano da sole. In questo
caso è stato riconosciuto il nostro impianto accusatorio, la sentenza
quindi ci sembra equilibrata». Nonostante quei 5 anni e tre mesi in più".
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