Di Redazione il
Aniello Ertico |
Cosa sia un volano per lo sviluppo del territorio costituito dalla cultura nessuno lo ha ancora capito ma dato che si tratta di un mero intercalare, va bene lo stesso. Tuttavia, facendo finta di averlo capito, ci accomodiamo nella nostra sala, spesso improvvisata in qualche palazzo storico, in una sala consiliare o nei prestigiosi contenitori istituzionali di provincia e regione e attendiamo l’inizio delle operazioni che, per prassi, non cominciano se non 45 minuti dopo l’orario di inizio pubblicizzato sulla locandina che, autoprodotta su foglio A4, è rigorosamente appiccicata con lo scotch sui vetri della finestra o direttamente sulla porta di accesso. Quando va bene, lo scotch non è quello marrone da imballo. Ovviamente ci troviamo in uno di quelli che viene definito per prassi consolidata un “evento culturale” e che quindi, a voler essere etimologicamente plausibili, rappresenterà, in quanto EVENTO, un fatto di grandissima rilevanza degno di essere ricordato. E ce lo ricorderemo infatti.
Continuando nell’esercizio della nostra immaginazione, lo vedete il leggio nell’angolo? E sì, ci sarà sicuramente una lettrice di un qualche brano emblematico del testo che si presenta stasera. Trattasi solitamente, anche in questo caso, del libro sempre autoprodotto che tuttavia merita di essere promosso con svariati patrocini pubblici in funzione di chi organizza la serata. Ma eccola, spunta anche la chitarra, pronta per l’arpeggio tratto da una qualche colonna sonora. C’è sempre un ragazzo che viene disturbato il sabato sera per andare ad accompagnare una lettura di poesie struggenti con la propria chitarra! Prima o poi, per questa ragione, si rischia di abbandonare la musica e iniziare a praticare sport solitari. Ma eccoli, immancabili, i dieci o forse dodici quadri d’autore, realizzati dall’artista locale per fare da scenografia all’evento! Sono posti ordinatamente senza alcun criterio, ossia dove c’è lo spazio libero e quelli che avanzano sono poggiati sui banchetti presi in prestito per l’occasione della vicina scuola. Ritraggono scene contadine, vecchie sedute davanti a case cadenti e paesaggi locali il cui misticismo allontanerebbe anche le zanzare. Si sa, l’arte deve essere tristissima per essere arte. All’ingresso della sala, ancora non tutta disvelata, eccola, la tavola con tovaglia di carta e vettovaglie varie coperte con i tovaglioli di carta; La tovaglia è gialla, così, per fare da richiamo elegantissimo alle tre bottiglie di fanta che svettano sulla periferia destra del piano. Ma inizia, silenzio! Applauso di incoraggiamento e presentazione degli ospiti.
Il pubblico è numeroso, accorso dietro invito personale e telefonata di conferma (modello matrimonio) per comprovare la propria buona educazione. Dopo i primi ventitré minuti inizia a dileguarsi completamente qualsivoglia attenzione richiamata solo dallo squillo di un paio di telefonini smarriti nel fondo senza fondo delle borse delle invitate accomodate in prima e seconda fila. I più strategici, quelli che avevano occupato i posti prossimi all’uscita, con la postura di chi è stato investito da una gravissima emergenza familiare, lasciano la sala alla scadenza del 58° minuto. Sul volto degli altri si affaccia una istintiva espressione di vittimismo e di rassegnazione suggerita dalla sfavorevole posizione logistica occupata. I minuti scorrono, la chitarra suona, le parole sono incomprensibili (…le pile del microfono sono infatti al loro sedicesimo utilizzo) e finalmente qualcuno dice che si può aprire il dibattito. L’interazione è sorprendente: alza la mano la maestra del paese, poi il professore, poi lo scrittore il cui best seller locale è stato presentato il mese prima. Più che interazioni sono ovviamente orazioni sulla propria specialissima esperienza e sensibilità per la letteratura e per l’arte.
Inizia a piovere, l’evento è quasi terminato, lo si capisce dal fatto che tutte le signore hanno la borsa in mano. Mi giro e sul tavolo del buffet scorgo qualcosa che smuove i piatti di plastica! Sembra un gatto. Penso, sarà una performance, non so, qualcosa che ha a che fare con le arti coreutiche oppure una installazione multimediale che ormai non ci facciamo mancare mai per sentirci modernissimi. Qualcosa che restituisca la morale della favola a fine serata! E invece era proprio un gatto con il muso nei piatti. Si fa presto a dire cultura quando si ha la fortuna di avere un gatto strafottente in paese che, con il patrocinio delle massime istituzioni locali, ripristina le gerarchie di valore e rende la sua presenza la cosa più dinamica e interessante della serata. Una volta i patrocini erano una cosa seria e la cultura si faceva proprio per tenere lontano dagli occhi il randagismo del pensiero.
*Neuropsicologo
Vicepresidente nazionale Associazione sociologi italiani
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