L’
I N C
H I N O
Con il termine “inchino” si indica un atto di riverenza, consistente nel piegare
il busto abbassando il capo e, talvolta, accennando ad una genuflessione. Si tratta di un atto di ossequio, di saluto,
di omaggio, di commiato, che si fa chinando
il capo (inchino leggero) o
curvando le spalle (inchino profondo). Naturalmente è l’uomo ad “inchinarsi” dinanzi
a ciò che storicamente sia
ritenuto meritevole di tanto, sia di
natura divina che umana. È un gesto usuale
per Papa Francesco che lo ha fatto dinanzi alla folla già al momento
della sua prima apparizione al balcone di piazza San Pietro e lo fa con tutti come lo ha fatto dinanzi a
Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, con la richiesta di
benedirlo e pregare per lui.
E, tuttavia, l’inchino è venuto di recente, in modo diverso,
simbolico e purtroppo tragico, alla ribalta della cronaca nella vicenda
della Costa Concordia all’isola
del Giglio, dove l’allora Comandante Francesco Schettino ritenne di farlo con
avvicinamento esagerato e pericoloso della grande nave all’isola in segno di
saluto agli abitanti, ai turisti ed ai passeggeri, magari anche attraverso l’uso della sirena (è
il cosiddetto “inchino”, come lo chiamano i marinai).
Sennonchè l’inchino,
pur dopo la recente invettiva contro la “ndrangheta” di Papa Bergoglio nella
piana di Sibari, si perpetua anche in alcune
processioni religiose in Campania, Calabria, Sicilia, ove si è ritenuto che l’atto di riverenza
potesse essere rivolto si a Dio, alla Madonna o al Santo di turno ma anche al
boss locale ed alla sua famiglia
con il coinvolgimento della statua portata in processione. E così ad Oppido Mamertina, la Madonna, sorretta da
tanti fedeli e seguita da una moltitudine di persone,
ha reso omaggio con sosta dinanzi
alla casa di Giuseppe Mazzagatti,
anziano Capoclan già condannato
all’ergastolo per omicidio ed associazione a delinquere di stampo mafioso (e
meno male che i Carabinieri si sono
subito allontanati dal corteo). Anche a
Palermo la statua della Madonna si è
inchinata dinanzi alla casa-covo di
Alessandro D’Ambrogio, luogo ritenuto un simbolo di Cosa Nostra ed a Porto Empedocle San Calò si è inchinato
davanti la casa del boss Messina.
Purtroppo episodi
simili si ripetono, forse da troppo tempo
ed ormai sempre più spesso, tanto da far intervenire prima o poi drasticamente
le Autorità, civili e/o religiose,
competenti
CHE SQUALLORE!
Il mio pensiero va
a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
ed alle tante vittime della
mafia, della “ndrangheta”, della
camorra, organizzazioni capaci di strumentalizzare, direttamente o
indirettamente, anche le cerimonie religiose sino alla pubblica esternazione, a
destra ed a manca, addirittura di
“inchini” del sacro
dinanzi al profano, sì che quest’ultimo possa mischiarsi e confondersi con il primo sino a primeggiare su di esso.
La cosa è
intollerabile e forse è il caso di
richiamare alla mente origine e
significato dei termini:
“Sacro” (dal latino “sacer”)
è ciò che è connesso, più o meno intimamente, con la divinità, con la
religione e con i suoi misteri, e perciò impone un particolare
atteggiamento di riverenza e di
venerazione (è contrapposto a “profano”).
“Profano” (dal latino
“profanus - “ pro fanum”),
è ciò che sta fuori
dal sacro recinto”,
fuori e non dentro, estraneo o contrario a ciò che è sacro e
religioso.
Se le processioni, con
uscita dal “sacro recinto”, devono contribuire alla descritta, grave confusione tra sacro e profano, forse è meglio
che siano vietate, come pure è accaduto, o che, comunque, non si facciano
manifestando così il giusto primato della sacralità e della spiritualità sia
all’interno che all’esterno del Tempio, o al limite si tengano secondo
modalità, percorsi, soste in cui sia visibile l’unico inchino possibile durante
una processione religiosa: Quello dell’ uomo dinanzi al sacro ed al divino.
E pazienza se ci
saranno meno processioni…!
A tutti A U G U R I di
Buon Natale e di un
sereno 2015!
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