IL MAESTRO BIAGIO
SCHETTINO
“E’ dolce ed onorevole morire per la patria” - Orazio -
“Li ho visti i ragazzi del ’99, andavano in prima linea
cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera, cantavano ancora!” - A. Diaz –
Erano i coscritti negli elenchi di leva, che nel 1917
compivano 18 anni e che, pertanto, potevano essere impiegati sul campo di
battaglia. Furono precettati quando non avevano ancora compiuto 18 anni.
Tra questi tanti ragazzi c’era anche Biagio Schettino di
Vincenzo, nato a Maratea il 25 giugno 1899, mio nonno materno, al quale sento
di dover dedicare un ricordo nel centenario della prima guerra mondiale.
Era tra i pochi che
tornarono, cantando, mentre già lentamente si addensavano le nubi di un’altra
guerra. In Trentino (Valle Lagarina) fu ferito e con il grado di Sergente
partecipò alla presa di Trento. Ebbe la Croce di Guerra. Dopo il congedo fu
Maestro elementare a Magnacavallo (Mantova), a Episcopia (Potenza), a Massa di
Maratea ed infine a Maratea centro.
Ho avuto la fortuna di averlo come nonno e di poterne, in
qualche modo, seguire i passi, i sentimenti e le emozioni sino alla sua morte
nel settembre 1978.
A me, ancora ragazzo,
un po’ alla volta, leggeva e rileggeva, nel suo studiolo pieno di libri e di
giornali in via Mandarini, la bozza delle sue “Memorie di un Maestro” e spesso
avvertivo la sua commozione, che facevo anche mia, mentre scorrevano le pagine
dense di ricordi legati ai primi anni ed alla fanciullezza, alla vita di
studente, alla vita di militare e di combattente, alla vita scolastica e
familiare, alla vita politica. Uomo buono, mite ed operoso, con la tempra del
contadino era mio nonno, dedito alla famiglia ed a molteplici attività ed
impegni, tra i quali quelli legati alla passione per la terra, l’agricoltura ed
il sociale.
Ricordo ancora la sua
triste rabbia e poi, comunque, la sua comprensione allorquando a Castrocucco le
ruspe, prepotenti, entrarono nel suo fondo, coltivato e con alberi carichi di
frutti, per far posto e spazio alla PA.MA.FI.
Lo rivedo,
sorridente, sul palco delle Autorità, mentre, con Aldo Castaldo, entrambi
scolaretti, recito, trepidante, la sua “Camicia rossa e scolaro” (Epopea
garibaldina) ed ancora, felice, a distanza di anni ed ormai anziano, a Napoli
per la mia Laurea alla “Federico II”. Custodiva
gelosamente un quadernetto, nel quale egli, mentre la sua famiglia cresceva e
si arricchiva di tanti nipoti, aveva annotato e man mano annotava anniversari,
date di compleanno e di onomastico di ciascuno ed eccolo pronto, per ogni
ricorrenza, con il suo sorriso bonario ed un piccolo dono.
Ma il vero dono era
la sua rassicurante presenza.
Non mancava mai
all’appuntamento ed arrivava, anche appesantito dagli anni, ripetendo fiero: “
Eccomi, glorioso e trionfante”.
Forse la sua mente
andava alla presa di Trento, al suo ritorno a casa ed alla sua giovinezza
accanto ai tanti coetanei meno fortunati che, ciascuno “PRESENTE”, come è
scolpito sulla pietra del Sacrario, riposano a Redipuglia o sul monte Grappa ed
altrove nella terra intrisa del loro sangue.
Era pur sempre un
ragazzo del ’99.
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