DA "IL DUBBIO" del 28 novembre 2018 - Rocco Vazzana -
-Spuntano nuovi operai senza contratto nell'azienda di famiglia del vicepremier-
FIOCCANO DENUNCE: "Dai Di Maio si lavorava in nero".
Luigi Di Maio, Vicepremier, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico |
«Io sono a disposizione per dare tutte le
informazioni che servono, ovviamente riguardano un periodo in cui non
ero né socio né gestore di quella azienda, come non sono gestore
dell’attuale». Luigi Di Maio è costretto a fornire ancora spiegazioni
sulla società di famiglia, la Ardima, finita al centro dei riflettori
grazie a un servizio delle Iene dedicato a Salvatore Pizzo, ex
operaio dell’impresa edile, che sarebbe stato assunto in nero dal padre
del vice premier. Ma quello di Pizzo non sarebbe un caso isolato. Il
programma televisivo, infatti, ha trovato altri tre vecchi dipendenti
dell’azienda di famiglia, chiamati a lavorare senza alcun contratto. E
anche se si tratta di episodi avvenuti tra il 2008 e il 2010, dunque
almeno due anni prima che l’attuale capo politico del Movimento 5 Stelle
acquisisse il 50 per cento dell’impresa, le rivelazioni delle Iene non possono non imbarazzare il ministro del Lavoro. Grillino, per di più, purista dell’onestà a tutti i costi.
Da quanto trapela ( mentre scriviamo la trasmissione non è ancora andata in onda, ndr)
le nuove testimonianze partono dal racconto di un uomo che avrebbe
lavorato per almeno tre anni per il signor Antonio Di Maio senza alcun
contratto. Ma a differenza di Salvatore Pizzo, questo ex dipendente
dell’Ardima avrebbe denunciato il suo datore di lavoro e la causa
sarebbe ancora in corso. Un dettaglio che potrebbe minare la solidità
dell’autodifesa del ministro Di Maio, fin dal primo momento
asserragliato dietro alla linea del «non sapevo».
Le altre testimonianze raccolte dal giornalista Filippo
Roma sono quelle di un operaio che avrebbe prestato servizio in nero per
otto mesi e di un terzo uomo, assunto part- time senza alcun contratto,
già impiegato su un altro cantiere per il resto della giornata.
La notizia crea parecchio imbarazzo tra gli ortodossi
pentastellati, già costretti a mandar giù la complessa convivenza con la
Lega, e mette a dura prova la leadership del vice presidente del
Consiglio. Per difenderlo deve intervenire persino Alessandro Di
Battista dal Sud America. Per le opposizioni, invece, è l’occasione di
togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Soprattutto per la vecchia
dirigenza del Pd, a partire da Maria Elena Boschi e Matteo Renzi, in
passato bersagliati dai banchi pentastellati proprio per vicende
riguardanti i genitori. «Sull’azienda edile di Luigi Di Maio e sulle
scelte di suo padre, ho già detto tutto nel post scritto l’altra notte.
Per me basta e avanza: adesso toccherà al vice premier venire in
Parlamento e spiegare all’Aula ciò che va chiarito», scrive su Facebook
il senatore semplice Renzi. «Ma il ragionamento è un altro. Non mi
interessa sbirciare dal buco della serratura che cosa ha fatto Di Maio
padre», prosegue l’esponente dem. «Mi sconvolge pensare che Di Maio
figlio ha voluto un decreto dignità prima e il reddito di cittadinanza
poi che per definizione sono due misure che fanno aumentare la piaga del
lavoro nero», affonda l’ex segretario del Pd. «Bisogna rendere più
facili le assunzioni, non i licenziamenti come invece ha fatto il
decreto dignità. Bisogna dare incentivi per assumere, come il JobsAct,
non il reddito di cittadinanza. Bisogna combattere chi evade, non
rinviare le fatturazioni elettroniche. Bisogna sanzionare chi fa gli
abusi edilizi, non votare i condoni», insiste Renzi, prima di mettere
definitivamente in dubbio la buona fede del leader grillino: «Noi siamo
contro il lavoro nero, contro l’evasione, contro gli abusi edilizi.
L’imprenditore Di Maio non può dire altrettanto. Ma il politico Di Maio
da che parte sta?».
E se il Pd chiede al ministro di riferire in Aula, Forza
Italia non è da meno. «Non ci si può fidare di un ministro del Lavoro
che risulterebbe socio di un’azienda accusata di aver fatto lavorare in
nero uno o più operai», dice la vice presidente dei senatori azzurri,
Licia Ronzulli. «Siamo sempre garantisti verso tutte le persone che
subiscono un’accusa, ma riteniamo altresì che il ministro del Lavoro
farebbe bene, se già non l’ha fatto, a risolvere il suo conflitto di
interessi dimettendosi quantomeno da socio dell’azienda incriminata, lui
che del conflitto di interessi degli altri ne fa la sua bandiera di
vita», prosegue Ronzulli, stuzzicando Di Maio su un altro cavallo di
battaglia del Movimento. «Non vorremmo, infatti, che il doppio incarico
di ministro del Lavoro e di socio della società facesse desistere
l’ispettorato del Lavoro, che opera sotto la vigilanza del ministro del
Lavoro, dall’esercitare con serenità quelle funzioni di controllo e
accertamento che gli sono proprie.
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