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MICHELE GRANATA, MONACO E MARTIRE GIACOBINO
di Leonardo Pisani il 18/01/2022
Il 12 dicembre 1799 il monaco lucano Francesco Saverio Granata al secolo Michele Granata, nato a Rionero in Vulture il 25 novembre 1748 fu giustiziato per le sue idee giacobine e per il suo impegno durante la Repubblica Partenopea del 1799. Inviso alla reazione sanfedista, dopo la caduta della Repubblica Partenopea fu spietatamente ricercato e poi catturato nel convento di Montesanto e portato prima al Castello del Carmine e poi al Castel Nuovo.
Dopo 5 mesi di detenzione in attesa di giudizio, la Suprema Giunta di Stato emise la sua condanna a morte il 5 dicembre 1799, oltre alla confisca dei suoi beni e la sua sconsacrazione effettuata da monsignor Giuseppe Corrado Panzini, vescovo di Ugento. Numerosi furono i reati contestati tra cui il raduno popolare nella Piazza del Mercato all’arrivo dei francesi predicando contro la monarchia borbonica, l’iscrizione all’elenco della “Società Popolare” e la sottoscrizione di un documento che prevedeva la detronizzazione del re Ferdinando IV di Borbone da ambedue i Regni di Napoli e di Sicilia.
Michele Granata fu “afforcato” nella stessa Piazza del Mercato, teatro delle esecuzioni della reazione borbonica, sulla quale si affacciava quella chiesa del Carmine in cui aveva trascorso una parte importante della sua vita.
Vi sono poche notizie sulla sua vita nel decennio precedente alla svolta rivoluzionaria del 1799, che l’avrebbe visto in prima fila tra i repubblicani. Tuttavia già prima di questi eventi cominciarono i suoi contrasti con le autorità. Nel 1787 fu rimosso dall’insegnamento, ricevendo peraltro una pensione. Una fonte attesta che in quell’anno Granata . si trovava nel carcere arcivescovile napoletano, ma si ignora la motivazione del suo arresto e la data della scarcerazione (Catenacci, p. 18). Nel 1789 tornò a insegnare filosofia e matematica nella Nunziatella (fu richiamato il 25 ottobre) e nel 1791 pubblicò dei versi in Omaggio a Ferdinando IV renduto dalla Regia Accademia militare, in occasione del ritorno del sovrano a Napoli dopo un viaggio a Vienna.
Nel 1793 il religioso rionerese . lasciò l’insegnamento, divenendo rettore dei carmelitani cosiddetti di S. Maria della Vita, nel convento di Montesanto a Napoli. Nel 1794 prese pubblicamente le difese del messinese Tommaso Amato, arrestato il 14 maggio nella chiesa del Carmine e giustiziato tre giorni dopo con l’accusa d’aver cospirato contro trono e altare. Nel 1795 lo stesso G., coinvolto nella nuova ondata di processi politici della giunta di Stato, fu incarcerato nella fortezza di Gaeta insieme con l’abate F. Monticelli, con mons. D. Forges Davanzati e con Eleonora Fonseca Pimentel. Tornò libero solo il 25 luglio 1798, grazie all’intervento del principe di Castelcicala, Fabrizio Ruffo, che portò alla scarcerazione di 58 “giacobini”, tra i quali il conterraneo e amico Mario Pagano (nativo di Brienza) e un suo parente Angiulli. Tornò allora a insegnare alla Nunziatella, ma per breve tempo, preferendo lasciare la cattedra al conterraneo Giustino Fortunato, suo discepolo-
Durante la Repubblica napoletana del 1799 il rionerese prese parte alla vita politica della capitale e fu uno dei maggiori esponenti della Società patriottica. Divenne anche commissario del cantone di Sannazzaro, uno dei sei mandamenti in cui era stata suddivisa la città; inoltre si dedicò all’educazione politica dei ceti popolari, insegnando la compatibilità dei valori democratici e repubblicani con quelli affermati nel Vangelo. Da Napoli cercò di organizzare l’attività di proselitismo repubblicano in Basilicata, inviandovi a tale scopo il giovane T. De Liso. Anche il fratello Tommaso e il nipote Luigi (destinato nel secolo successivo a diventare un noto studioso di agronomia) parteggiarono per la Repubblica e si arruolarono nella guardia civica; Tommaso ebbe anche un impiego nelle Finanze. Nel giugno 1799, quando i sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo erano ormai giunti alle porte di Napoli, il Granata entrò a far parte della commissione di diciotto membri istituita dal governo per organizzare la coscrizione militare e la difesa della città. Poi la fuga, l’arresto ed infine l’impiccagione. Ma la sua Rionero in Vulture non ha mai dimenticato questo martire della Libertà, nel 1881 il Comune di Rionero ha dedicato una lapide in sua memoria sulla parete esterna della casa natale, su proposta di Giustino Fortunato.
Nel 1946 fu istituita in suo nome, sempre a Rionero, la Scuola Media. Il 6 giugno 1965 nei pressi della stazione ferroviaria di Rionero, fu affisso un busto bronzeo a perenne ricordo di questo patriota.
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