Sanità e Partecipazione democratica
Valerio Mignone
Attenendosi prevalentemente a quest'ultimo settore, possono essere di buon ausilio esperienze di sociologia medica. Queste evidenziano che i malati, a causa della loro malattia, hanno una limitazione, o una perdita, di partecipazione nei processi di tutela della salute. Se così è, la salvaguardia di questo valore spetta soprattutto ai cittadini sani, che devono vigilare direttamente, o indirettamente, sul buon funzionamento delle Istituzioni socio-sanitarie. A questi doveri civici devono contribuire anche i medici, dotati, peraltro, di competenze specifiche in materia, a condizione che si spoglino di corporativismi, tecnicismi e, prima ancora, di interessi personali. Sarebbe pericolosamente riduttivo, infatti, esaurire la funzione del medico nel solo rapporto con il proprio paziente, che, tra l'altro, varia, per molti fattori, a seconda delle latitudini del globo terrestre.
Nei paesi sottosviluppati afro-asiatici e del Sud America si incontrano ancora medici missionari, laici e religiosi, alla Schweitzer, e quelli mitizzati da Cronin. In Occidente, invece, il progressivo e costante miglioramento delle condizioni sanitarie ha fatto scomparire il medico vetero-borghese più o meno disinteressato, saggio e paternalista. Infatti, nella realtà italiana, tranne una minoranza di " baroni e baronetti", esiste il “medico di base”, che, suo malgrado, si ritrova a dover accettare soddisfazioni professionali, ed anche frustrazioni, quando, con encomiabile prudenza, deve trasferire i casi non di routine in ospedale, ove operano medici, tenuti, a loro volta, a risolvere i problemi clinici con l'occhio attento ai vincoli di bilancio per non essere accusati di inefficienza dai burocrati del Servizio Sanitario.
In questo contesto, gli ammalati, poveri cristi, spesso non percepiscono l’imbarazzo dei medici. Questi devono esigere che, nell'interesse dei cittadini, la propria opera professionale si svolga in un quadro organizzativo dignitoso, e che essa si possa proiettare in una medicina permanentemente innovativa, come impone la incalzante tecnologia che la pervade di giorno in giorno.
Per ottenere adeguate risposte a tali sacrosante esigenze, i medici non possono non essere attenti alla politica del momento, cui compete anche la organizzazione della Sanità nel suo complesso. Basta pensare alla politica che vuole la privatizzazione della gestione della salute secondo le leggi del mercato, trattando come merce la salute, che merce non è; e alla politica che vuole, invece, la gestione pubblica della salute, intesa come valore da garantire a tutti i cittadini.
In questo non facile compito, la dottrina e la sensibilità, maturate nelle corsie degli ospedali, o nei propri ambulatori, aiuteranno i medici. Questi, non meno di altri, possono essere interpreti fedeli dei bisogni della Comunità e delle sue componenti più deboli. Per la loro formazione etica, d'altronde, essi non sono come taluni politici che, pur di conquistare o conservare una poltrona, sono disponibili a vendere al diavolo non solo la propria anima, ma anche quella degli altri, calpestando la prassi politica, alta e nobile, secondo la quale bisogna " dare più che ricevere”.
La medicina è anche scienza, intendendosi per essa conoscenza e capacità di elaborare il pensiero. E come i borghesi utilizzarono la scienza per sconfiggere il feudalesimo, così i medici possono usare la scienza per tentare almeno di contrastare gli eventuali abusi di alcuni "ceti partitici", e scuotere l'eventuale immobilismo del potere politico.
Tutto ciò è auspicabile là dove i Piani Sanitari Regionali sono rimasti per buona parte inattuati, pur essendo stati approvati come leggi regionali. E in tale prospettiva è prioritario accelerare il passaggio dalla cultura della Medicina ospedaliera alla cultura della “Medicina territoriale”.
In questi tempi di crisi economica e sociale, e di confusione politico-istituzionale, per l'Italia è necessario un patto tra maggioranza ed opposizione che bandisca la demagogia nelle azioni miranti a risolvere i gravi problemi della Sanità. Occorre razionalizzare il sistema, ed estendere la partecipazione democratica alla gestione della Sanità, che è stata un intento costante del Legislatore sin dalla prima legge n.833 di Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978. Infatti, volendo limitare le potenzialità monocratiche delle direzioni generali, introdotte nel sistema per dare alla Sanità una efficienza di tipo aziendale, con il Decreto legislativo n.229 del 1999, sono stati aggiunti rappresentanti delle autonomie locali agli Organi di controllo democratico e politico sull'attività gestionale della Sanità.
Oggi i cittadini sono ben consapevoli che, di per sé, la sanità consuma risorse e non ne produce, e che, perciò, ne occorre una gestione oculata, senza limitare, però, il diritto alla salute e alla partecipazione democratica. D’altronde, è interesse della Collettività togliere il cittadino malato dallo stato di consumatore di risorse, e, se in età lavorativa, reinserirlo al più presto nel ciclo produttivo.
In realtà, la riduzione del numero delle Aziende Sanitarie Locali, e del potere politico-burocratico in esse esercitato, ha fatto risparmiare risorse finanziarie, non ha comportato una limitazione democratica nella gestione della sanità, e tuttavia, in buona parte del Sud Italia viene lamentato un peggioramento dell'offerta propriamente sanitaria.
Anche in Basilicata, purtroppo, c’è caos organizzativo nella Sanità del Territorio! La chiamata per “urgenza” di un’autoambulanza, tramite il 118 dà la sensazione di essere abbandonati in una lunga attesa, pur con il paziente che giace sui marciapiedi! Occorre analizzare il problema, e adottare le soluzioni adeguate!
Maratea 1 febbraio 2023
Nessun commento:
Posta un commento