sabato 11 febbraio 2023

LA FATICA DI SISIFO

 L'UMANITA'  E'  SEMPRE  IN  CAMMINO  E...SIAMO  TUTTI  SISIFO...

 

-  Da  www.ilmattinoquotidiano.it/blog/alba-subrizio  -

 

SISIFO,   LA  "FATICA"  DI ESSERE UOMO  E LA SFIDA DEGLI DEI

Condannato per l’eternità a spingere un macigno che rotolava giù continuamente, il mitico re di Corinto è metafora della condizione umana

Alba  Subrizio          30  aprile  2017

 


Per A. Camus Sisifo rappresenta l’umanità che è sempre in «cammino» nonostante i suoi limiti, nonostante il macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua malgrado tutto a spingere, contro tutto e tutti (anche gli stessi dèi), anche se il finale è già scritto, perché «la LOTTA verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo»...

Osò sfidare gli dèi, osò sfidare la morte, il suo nome era Sisifo. 

Oggi l’espressione “fatica di Sisifo” è usata per indicare un lavoro inutile che, per l’appunto, richiede grande fatica senza raggiungere risultati. Eh già, perché la pena alla quale Sisifo era stato condannato negli Inferi era quella di spingere per l’eternità un enorme masso su il pendio di un monte, ma una volta arrivato in cima questo rotolava giù e doveva ricominciare daccapo; ciò non aveva mai fine. 

 

Il mito ha avuto diverse interpretazioni ma andiamo con ordine e vediamo chi era costui. Re di Corinto, si racconta fosse figlio di Prometeo (il titano che aveva donato il fuoco agli uomini) e che un giorno avesse visto Zeus (e chi se no?) insediare una bella ninfa, figlia del dio fluviale Asopo. Interrogato da Asopo su chi avesse rapito la figlia, Sisifo rivelò il tutto, per questo motivo Zeus per punizione lo gettò nell’Ade. Tuttavia Sisifo (che già una volta si era preso gioco della morte facendola ubriacare) aveva avvisato la moglie di non seppellire il suo corpo qualora fosse morto; così, non avendo ricevuto gli onori funebri, la sua anima era costretta a vagare alle soglie dell’aldilà, motivo per cui, furbamente, riuscì a persuadere Persefone (la sposa del dio degli Inferi) a farlo tornare sulla terra per tre giorni, affinché potesse convincere la moglie a dargli degna sepoltura. La dea acconsentì ma ovviamente Sisifo non aveva alcuna intenzione di tornare e quindi rimase sulla terra (secondo il piano premeditato); tuttavia gli dèi lo catturarono nuovamente (secondo altre versioni del mito morì di morte naturale) e, quando tornò nell’Ade per la seconda volta, la sua punizione fu durissima: infliggendogli la “fatica” che abbiamo descritto sopra, che l’ha reso celebre e proverbiale presso i posteri. 

Orbene, per gli antichi quello di Sisifo è un altro classico esempio di empietà punita: chi sfida gli dèi viene sempre punito! Ma a me piace una lettura più moderna, come quella fornita da Albert Camus, secondo il quale Sisifo rappresenta l’umanità, quell’umanità che è sempre in «cammino» nonostante i suoi limiti, nonostante «il macigno rotola ancora», quel macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua malgrado tutto a spingere, contro tutto e tutti (anche gli stessi dèi), anche se il finale è già scritto. «Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dèi e solleva i macigni», perché anche se non ce la farà mai – continua Camus – «la LOTTA verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo». 

Ecco, a me piace guardare a Sisifo così, come l’essere umano, “troppo umano”, che lotta contro il suo destino, anche sapendo che non cambierà, perché è il lottare che nobilita l’uomo, è l’incessante forza che mette nella lotta che lo rende ‘divino’ più della divinità stessa. Perché dio o gli dèi non potranno mai capire la nostra lotta e questo ci rende unici. Siamo tutti Sisifo…

 

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