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LA PENA DI MORTE
Di Patrizia Barrese il Cultura, Politica & Società
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Patrizia Barrese |
Forme di banditismo caratterizzate da azioni violente a scopo di rapina ed estorsione hanno operato in Basilicata, dove i fuorilegge, se catturati, venivano impiccati senza processo dalla corona borbonica mentre già nel 1800 numerosi rivoltosi venivano impiccati e fucilati. Pene capitali che continuarono a perpetrarsi sino alla restaurazione di re Ferdinando che attuò una campagna repressiva nei confronti delle bande di briganti: nei territori del Sud vennero istituite vere e proprie corti marziali, e laddove pubblicate le liste di banditi ricercati per brigantaggio, potevano essere uccisi da chiunque, ricevendo un premio in denaro.
Ad oggi di pene di morte, il dibattito abolizionista di tali “forme di ingiustizia”, coinvolge più di due terzi dei Paesi al mondo che hanno dismesso la pena di capitale: in Europa l’unica eccezione è rappresentata dalla Bielorussia, seguita da Cina, Arabia Saudita, Vietnam e Iran, persino gli Stati Uniti hanno ridotto il numero delle esecuzioni. Le fila del fronte mantenitore, invece, sono rappresentate dai Paesi islamici, laddove gran parte dei reati puniti con la pena capitale è legata alla moralità e alla religione.
Dopo la morte di Mahsa Amini, quattro mesi fa, sono stati emessi atti d’accusa per oltre 1000 manifestanti, ma per i 30 attivisti, la magistratura iraniana ha confermato la condanna a morte perché coinvolti nelle proteste scoppiate nel paese: due giovani di soli 23 anni sono stati impiccati perché riconosciuti colpevoli del “reato di ostilità verso Dio”.Il processo di internazionalizzazione relativo al rispetto e alla tutela dei diritti umani, “La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948” riconosce in maniera estensiva il diritto alla vita, mentre l’art.2 della Corte di Strasburgo stabilisce che “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita” o sottoposto a qualunque trattamento disumano. Tuttavia è incredibile pensare come la notizia di una condanna a morte, agisca come potenziale narrativo e comunicativo, dibattito morale e successivo step per la letteratura, il cinema d’intrattenimento o i talk show serali. E’ il caso di domandarsi se sia lecito e ragionevole infliggere un’azione punitiva con la morte per instillare la paura tra i manifestanti e mettere fine ad una protesta. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sostenuto: “Non ci sarà piena giustizia nel mondo finche’ l’uccisione di esseri umani non verrà bandita. Tutti i governanti riflettano su questo”.
Dostoevskij sosteneva: “L’assassinio legale è incomparabilmente più orrendo di quello perpetrato da un brigante”, ma se persino la vittima del brigante poteva sperare di salvarsi sino all’ultimo momento, oggi, con la pena di morte ancora vigente in Iran e, dettata dalla magistratura, la speranza viene tolta con una certezza matematica spietata.
Spesso la giustizia divina precede quella umana ma, in questo caso, è paradossale ammettere come un popolo affamato di giustizia, che spegne la vita per reato di ostilità verso Dio, non ascolti ragioni, né giustizia, e “nessuna preghiera” riesca a convincere che a questa pratica di morte si deve porre fine.
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